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Viktoriia Roshchyna: l’orrore supera ogni limite

di Pippo Gallelli

C’è un punto in cui l’orrore oltrepassa la soglia della coscienza. La storia di Viktoriia Roshchyna, giovane giornalista ucraina, supera quel limite. Il suo nome si aggiunge a quello di altri cronisti caduti nel tentativo di raccontare l’atrocità della guerra, ma i dettagli agghiaccianti sulla sua fine sconvolgono oltre ogni misura. Quello che è accaduto a Viktoriia non è solo una barbarie: è un atto deliberato di terrore, un crimine che grida vendetta nei confronti di una verità che qualcuno ha voluto annientare.

Viktoriia aveva 28 anni ed era una reporter freelance per Ukrainska Pravda, una delle testate più attente e coraggiose nel documentare l’invasione russa dell’Ucraina. A luglio del 2023 aveva raggiunto i territori occupati per raccontare, ancora una volta, l’orrore. Il 3 agosto è scomparsa. Per mesi, il nulla. Nessuna notizia. Nessuna conferma. Solo nel maggio 2024, con freddo cinismo, la Russia ha ammesso di averla arrestata. Ma era troppo tardi.

Il 10 ottobre, le autorità ucraine hanno confermato la sua morte, avvenuta durante la prigionia russa. Ma la verità – o almeno la sua superficie – è emersa solo il 14 febbraio 2025, quando il corpo di Viktoriia è stato restituito all’Ucraina, in occasione di uno scambio. Era ridotto a una mummia. Etichettato come “maschio non identificato, numero 757”.

Quel corpo era il suo. Decomposto, irriconoscibile, segnato da un orrore inenarrabile. I medici legali hanno riscontrato una corrispondenza del DNA del 99%. E poi, le ferite: abrasioni, contusioni, una costola rotta, segni di scosse elettriche. Ferite inflitte mentre era ancora viva, come ha confermato Yurii Bielousov, capo del Dipartimento della Guerra presso la Procura Generale ucraina. Tortura, non ci sono dubbi. Una tortura metodica, inflitta per annientare, per spezzare l’umano.

Ma c’è di più. C’è l’orrore nell’orrore. Al momento della riesumazione, risultavano assenti il cervello, i bulbi oculari, parte della trachea. Mutilazioni che non sono spiegabili con un’autopsia convenzionale. Un medico legale internazionale, consultato da Ukrainska Pravda, ipotizza che questi organi siano stati rimossi per cancellare ogni traccia di strangolamento o soffocamento. Come se, anche da morta, Viktoriia dovesse essere silenziata.

Tutto questo è accaduto a una giovane donna che voleva solo raccontare. Che aveva scelto la verità come vocazione. Viktoriia Roshchyna non è stata semplicemente assassinata: è stata torturata, disumanizzata, ridotta a oggetto da chi vede l’informazione come una minaccia da neutralizzare. La sua uccisione è la rappresentazione più brutale della guerra come strumento di annientamento culturale, morale, politico.

Per rispondere a questo crimine, Forbidden Stories, insieme a testate internazionali come The Guardian, Le Monde, Der Spiegel, The Washington Post, ha dato vita al Progetto Viktoriia: un’indagine collettiva che intende fare luce non solo sulla sua fine, ma sulle centinaia di prigionieri ucraini detenuti illegalmente in Russia, molti dei quali spariti nel nulla.

Davanti a tutto questo, non possiamo restare neutrali. Non possiamo invocare prudenza diplomatica o stanchezza morale. Ogni giorno in cui tacciamo, chi ha torturato Viktoriia trova nuova legittimità. Ogni esitazione della politica è una coltellata alla verità.

Viktoriia era una giornalista. Ed è morta per aver fatto ciò che ogni giornalista dovrebbe fare: andare dove nessuno vuole guardare. Oggi tocca a noi raccogliere quella testimonianza. Raccontare, denunciare, ricordare.

Il suo nome deve diventare simbolo. Della verità che resiste. Dell’umanità che non si arrende. Della giustizia che non può più aspettare. Perché l’orrore che le è stato inflitto non cada nel vuoto. Perché la macelleria della violenza, del silenzio e dell’impunità non possa più divorare chi racconta. Perché nessuno, mai più, debba morire per aver tentato di accendere una luce nel buio.

Fonte foto: web