Cultura

Milan Kundera, l’arte di rendere il particolare universale

“Tutte le lingue che derivano dal latino formano la parola compassione col prefisso “com-” e la radice passio, che significa originariamente “sofferenza”.
In altre lingue, ad esempio in ceco, in polacco, in tedesco, in svedese, questa parola viene tradotta con un sostantivo composto da un prefisso con lo stesso significato seguito dalla parola “sentimento” (in ceco: soucit; in polacco: wspol-czucie; in tedesco: Mit-gefuhl; in svedese: med-kansla).
Nelle lingue derivate dal latino, la parola compassione significa: non possiamo guardare con indifferenza le sofferenze altrui; oppure: partecipiamo al dolore di chi soffre. Un’altra parola dal significato quasi identico, pietà (in inglese pity, francese pitiè, ecc) suggerisce persino una sorta di indulgenza verso colui che soffre. Aver pietà di una donna significa che siamo superiori a quella donna, che ci chiniamo, ci abbassiamo al suo livello.
E’ per questo che la parola compassione generalmente ispira diffidenza; designa un sentimento ritenuto mediocre, di second’ordine, che non ha molto a che vedere con l’amore. Amare qualcuno per compassione significa non amarlo veramente.
Nelle lingue che formano la parola compassione non dalla radice “sofferenza” (passio) bensì dal sostantivo “sentimento”, la parola viene usata con un significato quasi identico, ma non si può dire che indichi un sentimento cattivo o mediocre.
La forza nascosta della sua etimologia bagna la parola di una luce diversa e le dà un senso più ampio: avere compassione (co-sentimento) significa vivere insieme a lui qualsiasi altro sentimento: gioia, angoscia, felicità, dolore.
Questa compassione (nel senso di soucit, wspòlczucie, Mit-gefuhl, medkansla) designa quindi la capacità massima di immaginazione affettiva, l’arte della telepatia delle emozioni. Nella gerarchia dei sentimenti è il sentimento supremo”.[…]

Che cos’è un classico? Come si individua un classico? Quando accade che un libro, una storia nata da un tempo e vera per quel tempo, può essere definita un classico? Se proviamo a chiederlo agli studenti, la risposta, raffinata dalle prese di posizione sterili e dai pregiudizi, arriva dall’esperienza dei classici letti nel corso degli anni di scuola. Un classico è quasi sempre una lettura imposta, non scelta, calata dall’alto, con cui non è semplice né immediato confrontarsi. Un classico presuppone fatica, e impegno, e concentrazione. Un classico è, tuttavia, un libro che da lontano, come per magia, superando i confini spazio-temporali, parla proprio a noi, che siamo qui ed ora, e parla proprio di noi, generazione di un altro tempo e di un tempo altro, e ci dice qualcosa di noi stessi, fornendoci chiavi interpretative del nostro tempo.
L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera è un libro che è diventato un classico nel momento stesso in cui è stato scritto. Il romanzo, ambientato negli anni immediatamente successivi alla Primavera di Praga, racconta le vicende di un “Quartetto” di intellettuali, di cui segue l’intero arco biografico, scavando nelle loro vite private e nella loro dimensione pubblica. Ed è un romanzo potentissimo, perché illumina un frammento di storia che è foriero di altri importanti frammenti, perché inquadra quel tempo dal suo interno e lo consegna alla posterità, perché ricostruisce le pagine della grande Storia attraverso le piccole storie, come solo i romanzi dei grandi narratori sanno fare.
Ma non è tutto.

È un romanzo potentissimo soprattutto nella sua capacità di investigare sentimenti universali e di raccontarli ai lettori, in modo che ciascuno di essi possa riconoscerli, e ritrovare e comprendere un pezzo del suo cuore nel quadro variegato e complesso dei sentimenti umani; di scoprire, per dirla con Broch, “ciò che solo un romanzo permette di scoprire”.

La compassione, descritta da Kundera nei termini splendidi citati in epigrafe, è uno di questi sentimenti: ognuno di noi ha sperimentato, almeno una volta nella vita, la bellezza della sintonia delle emozioni, della trasmissione epidermica dei pensieri, quella capacità massima di immedesimazione affettiva che per l’autore è un “co-sentimento” e per noi è empatia, attenzione e cura, manifestazione di un tipo di amore incondizionato che, per sua stessa natura, non può chiedere nulla in cambio e che è la testa di ponte per una comunione vera e autentica con la vita dell’altro.
Oggi, dunque, ci lascia uno scrittore vero, un autore classico della letteratura mondiale, che però ha eretto un monumento “aere perennius”, e che dunque resterà per sempre dentro di noi, che lo abbiamo letto e amato.

Foto di Copertina Di Elisa Cabot