Di Antonietta Peluso
La raccolta di liriche, Luoghi per caso, accompagna il lettore all’interno di un viaggio nel tempo e, soprattutto, nello spazio. L’autrice ci offre la mappa lirica di un itinerario che si dipana lungo quarant’anni di memorie, strade, vicoli, paesi sconosciuti e città memorabili che insieme formano l’ideale passaggio di una vita, tante vite, l’esistenza di chi scrive, le esistenze di coloro che leggono.
Il linguaggio poetico è corredato da una colonna sonora originale, scritta dal compositore versatile Massimo Belmonte, le cui sonorità sembrano essere in accordo e in armonia con la scrittura poetica, evidenziando carature insistenti di una poesia fatta di suoni fortemente evocativi, complessi e, nello stesso tempo, seducenti, in perfetta simbiosi con le parole. Le scelte stilistiche sono severe, evidenziano l’importanza delle parole, alternano parole e suoni, rincorrono tratti irregolari e articolati, non lesinano complessità e palesano spontanei impulsi emozionali.
Il libro si dipana per quattro decadi temporali.
Tutto ha inizio nel 1984 e si chiude nei primi mesi del 2024.
Le liriche non hanno titolo ma sono anticipate da un luogo e da una data, quasi a suggellare l’istante.
La prima decade (dal 1984 al 1993) è libera, non ci sono filtri, nessuna sovrastruttura se non la scoperta di un mondo lirico ingenuo, di una purezza che ammalia, con scatti leggermente pretenziosi. Le cause di questo andamento emotivo sono facilmente riconoscibili, basta legare il tempo alle esperienze di chi scrive. Se scaviamo infatti nella biografia di Assunta Morrone, ci rendiamo conto che la poetessa nel 1984 aveva sedici anni. Comprendiamo immediatamente che le liriche sono state lasciate fedeli al tempo di scrittura, rappresentano il passaggio veloce in luoghi che appartengono al vissuto quotidiano ma anche alle fugaci uscite più distanti da casa, ci lasciano immaginare l’adolescente che corre a scoprire il mondo, portando con sé le letture poetiche dei suoi anni giovanili che pure emergono. Transitiamo dalla passione familiare per una bambola speciale a cui si legano affetti e ricordi, alla scoperta delle città d’arte, studiate a scuola e visitate nelle gite scolastiche, dallo sguardo al mondo vicino dei piccoli paesi intorno al luogo di residenza, fino alle città lontane, in Italia e in Europa, fino alla scoperta delle città di Parigi e Vienna, dove essere ed esistere, quasi che il tempo possa rendersi indipendente e scegliesse di farci tornare dove siamo stati e dove vorremo ancora essere. Luoghi perduti alla stregua di luoghi ritrovati, con l’idea di rendere immortale un mondo di semplici mortali. È il caso di Place du Tetre, Parigi, 15 agosto 1985, quando il lettore scopre che chi scrive immagina di vivere una vita nuova, fatta di arte e sogno, con la similitudine tra la giovane pittrice-protagonista e Suzanne Valadon, modella e pittrice, dei primi del ‘900. Suzanne rivive nella giovane donna che la evoca, quasi a volerla far rinascere; la stessa passione, qualche anno dopo, ci porta a Piazza Fontana, Milano, 12 dicembre 1989, dove la studentessa universitaria scopre di trovarsi nella nota Piazza, esattamente vent’anni dopo l’attentato e ci offre il dolore di vetri rotti tra l’asfalto e la suola delle sue scarpe. La colonna sonora si apre, nella prima decade, con una melodia realistica ed efficace che si pone il compito di lasciare l’immaginazione libera di sorvolare i cieli del destino di chi legge e ascolta la musica, vagheggiando lande desolate o piazze e strade che hanno osservato mute la storia tragica del momento o l’amore appassionato che sfugge al controllo. La scrittura musicale di Belmonte da voce ai diversi passaggi, partendo da un’idea melodica che viene arricchita da altre idee polifoniche che completano, a loro volta, il discorso melodico, pur non basandosi su sovrastrutture armoniche definite.
Nella seconda decade (dal 1994 al 2003) l’evoluzione linguistica si fa carico di un impegno più consapevole e definito, con l’attenzione all’intimità e al senso dei rapporti. Tornano alcune costanti, come la città di Parigi e il suo cielo indaco, su cui si alternano versi ironici e seri che mettono a dura prova la credibilità di chi scrive, rispetto al trovarsi davvero nei luoghi descritti, per le immagini troppo nitide eppure mutevoli e cangianti. I luoghi si trasformano, le distanze si fanno irraggiungibili e ci sembra di volare da Giza a Tunisi, da Milano a Venezia. Ci chiediamo quanto sia importante la ricerca di un’altra terra e i lemmi che si palesano appaiono rinforzati dai suoni della seconda agile composizione musicale. La giovane poetessa cresce dinanzi ai nostri occhi, si fa donna e madre, ci racconta di più, continua a non usare il punto fermo, alla fine delle composizioni liriche, come se tutto fluisse sul letto di un fiume che scorre verso una speciale terra promessa cui tendere.
Dal 2004 al 2013, una terza decade fatta di appassionati amori e plurime esperienze, attraverso un linguaggio, ora scarno, ora ridondante, sempre adatto all’aria della montagna e al respiro del mare, tra una Genova vissuta insieme all’altro e una Sila incantata che sembra lo scenario di fiabe antiche. Al leggero giro di danza delle parole della Morrone si alterna il Valzer per Archi di Belmonte, con storie raccontate per parole e musica, come in un lunghissimo canto a due voci. E scopriamo Milano, città dura ma coinvolgente, e la Grecia, culla di motivi mitici cari al microtesto dell’autrice, mentre i luoghi per caso ci sembrano altrettanti tasselli di un mosaico più grande, le cui immagini scorrono sullo schermo della vita, da Matera all’Adriatico, al lungomare di Capo Vaticano. Il libro diventa un diario poetico che vuole permettere a chi scrive di non dimenticare e a chi legge di scegliere cosa cercare di sé in quei viaggi brevi, istantanei, come foto di un rullino che ritroviamo per caso in un baule dimenticato.
L’ultima decade è accompagnata da un brano che ha lo stesso titolo del libro e si dipana in un presente multicolore, con sfaccettature sonore che accarezzano le liriche e dalle liriche sono accarezzate. Leggere significa inoltrarsi verso le coste normanne, planare su Utah Beach e diventare ancora una volta parte della storia, ritrovarsi nel magnifico passato di Scilla, oltrepassare il Passetto del Re, a San Giorgio Morgeto o calpestare le pietre di Taurianova, nella piana calabra.
Nulla accade per caso in questo lungo viaggio e ci piace pensare che leggere le liriche di questo volume voglia dire continuare il viaggio di chi scrive all’infinito, alla ricerca di pietre da fotografare e desideri da realizzare.
