Cultura Politica

Enrico Berlinguer, l’immensa eredità di un leader visionario

“E ora compagne e compagni, vi invito a impegnarvi tutti, in questi pochi giorni che ci separano dal voto, con lo slancio che sempre i comunisti hanno dimostrato nei momenti cruciali della vita politica. Lavorate tutti, casa per casa, azienda per azienda, strada per strada, dialogando con i cittadini, con la fiducia per le battaglie che abbiamo fatto, per le proposte che presentiamo, per quello che siamo stati e siamo, è possibile conquistare nuovi e più vasti consensi alle nostre liste, alla nostra causa, che è la causa della pace, della libertà, del lavoro, del progresso della nostra civiltà!”. Queste le ultime parole pronunciate da Enrico Berlinguer il 7 giugno 1984 a Padova, durante un comizio all’interno della campagna per le elezioni europee, prima di accasciarsi a causa di un ictus che, quattro giorni dopo, lo avrebbe condotto alla morte.

Le eredità importanti scatenano sempre dissidi, litigi, rivendicazioni fra coloro che accampano pretese sul lascito, sia esso materiale o spirituale: l’immenso patrimonio morale di Enrico Berlinguer, ancora oggi, langue, privo di degni successori che ne possano avocare il possesso.

Politico dotato di lucido spirito critico, appassionato, coerente; una figura di cui, chi della politica ha sempre avuto una concezione integra e irreprensibile, non può non sentire la mancanza. Dalla lotta antifascista nella natia Sardegna fino ai vertici all’interno del PCI, la sua carriera politica si è sempre contraddistinta per la ricerca del dialogo, l’apertura, il coraggio. Nei suoi discorsi la concretezza e la forza, la capacità di parlare alla testa e al cuore del popolo, senza vuoti intellettualismi e facili demagogie. Fiero sostenitore di battaglie a favore di “Occupazione, salute, istruzione, tutela dei bambini e degli anziani, difesa della natura e dell’ambiente”; costantemente in prima linea per “La piena liberazione della donna, il sicuro diritto dei lavoratori di associarsi sindacalmente, la produttività e l’efficienza dell’economia, il pluralismo politico, la libertà di informazione e di espressione culturale e artistica”.

Denunciò la degenerazione dei partiti politici, definiti “macchine di potere e clientela”, individuando in essa le ragioni della profonda crisi dello Stato. Riconobbe l’irreversibile processo di distacco tra paese e istituzioni, tra popolo e classi dirigenti “arrivato al punto che se non interviene un fatto nuovo, un sussulto, una svolta positiva, lo scivolamento verso esiti oscuri e avventurosi diventa prima o poi inevitabile”.

Prese le distanze dall’autoritaria politica estera sovietica, condannandone l’invasione cecoslovacca. Sentì l’esigenza del rinnovamento. “La sinistra ha fatto bene a disfarsi di vecchi miti, a riaffermare la sua piena laicità, ma non può vivere e vincere senza valori ideali, che sono poi quelli di cui il movimento operaio è portatore da sempre – pace, giustizia, eguaglianza, lavoro, sapere, solidarietà – ma che hanno bisogno dì essere diversamente pensati e tradotti, perché si applicano a una realtà diversa. Devono ridiventare anch’essi senso comune”.

Fu tra i principali artefici dell’Eurocomunismo, un tentativo di costruire un polo comunista occidentale, sviluppato in senso riformista e democratico.

Ancora oggi ricordato e rimpianto per la lungimiranza, per la caratura morale, per la rettitudine. I suoi funerali furono accompagnati da circa un milione e mezzo di persone. Quelle immagini insieme ad altre d’archivio sono confluite nel film di montaggio di Michele Mellara e Alessandro Rossi, musicato da Massimo Zamboni e presentato in anteprima al Pordenone Docs Fest. Il film “pensato in chiave emozionale” sarà nelle sale italiane nel 2024 per ricordare il quarantennale della morte di Berlinguer.

La sua morte improvvisa e prematura lasciò un vuoto incolmabile all’interno della politica italiana ed europea.

All’indomani della sua scomparsa scrisse Natalia Ginzburg: “Abbiamo tutti pensato non soltanto che era successa una “tragedia politica”, ma abbiamo pensato che la sua morte era per ognuno di noi una disgrazia personale, una perdita personale. Ci siamo accorti che ognuno di noi aveva con lui un rapporto fiducioso e confidenziale, anche se ci eravamo limitati ad ascoltarlo nella folla d’una piazza. Fu un momento in cui, come aveva detto Benigni, “il firmamento bruciava”. La sensazione che “bruciava il firmamento”, in quei giorni, l’abbiamo avuta tutti”.