Dal 29 settembre al 5 ottobre, doppia residenza d’artista per celebrare il centenario della nascita di uno dei grandi protagonisti del Novecento fotografico
Nel cuore della Sila catanzarese, immerso nella quiete del paesaggio montano, il MABOS – Museo d’Arte del Bosco della Sila, situato in località Granaro, a Sorbo San Basile (CZ), accoglie l’ultimo appuntamento della seconda edizione di Stanze di Vita Immaginaria, parte della stagione artistica SENSE 2025. Un progetto interamente dedicato alla fotografia per rendere omaggio al centenario della nascita di Mario Giacomelli, figura centrale del Novecento fotografico. A interpretarne l’eredità saranno due protagonisti della scena contemporanea: Mario Cresci e Massimo Mastrorillo.
Dal 29 settembre al 5 ottobre, due approcci generazionali e linguistici differenti si intrecceranno in una doppia residenza d’artista. Massimo Mastrorillo condurrà la residenza Da zero a Zero. Elogio alla lentezza, realizzata in collaborazione con la factory DOOR e la Door Academy, e rivolta a cinque giovani fotografi (Andrea Agostini, Andrea Alessandrini, Debora De Canio, Mahtab Hoomanfar, Samuele Vincenti). Mastrorillo propone una riflessione sul ruolo instabile e poetico della fotografia come custodia della memoria:
«Dal mio punto di vista la fotografia si basa sull’idea di congelare il tempo e la memoria, che di per sé è destinata a fallire per vari motivi. Nell’analogico, come ha più volte sottolineato un autore come Joan Fontcuberta con le sue ricerche, la pellicola è materia viva, destinata a mutare nel tempo, a volte degradandosi al punto da prendersi la rivincita sull’uomo. Nel digitale siamo in balia di file che rischiano di scomparire da cloud e hard disk, per cui duplichiamo all’infinito gli stessi file nella speranza di non perdere ciò che abbiamo creato. Mi piace più pensare che ogni fotografia sia come una parola scritta, che può essere parte di un discorso o nascere singola, destinata a rimanere (verba volant, scripta manent) e pertanto ad avvicinarsi alla poesia, anche per i limiti che la caratterizzano (mancanza di movimento, suono, necessità di sintesi). Ritengo che la lentezza del vedere sia l’unico modo per andare oltre la superficie, per osservare la Vita e la realtà con il desiderio di comprenderne il senso, e che la limitazione del mezzo sia uno strumento creativo incredibilmente valido perché distoglie da tutto ciò che è superfluo. Da questo punto di vista sia le opere di Giacomelli che di Costabile mi sembra siano in perfetta sintonia con quest’idea di lentezza e limitazione.»
Prosegue con una riflessione profonda sull’etica del lavoro e sul legame imprescindibile tra arte, ambiente e spiritualità:
«Per me la fotografia non è solo mezzo, ma scelta di vita. La uso per trasmettere la mia filosofia, le emozioni e per stimolare la sensibilità di chi guarda, allontanandomi dalle mode e dalle tendenze effimere. Non scatto compulsivamente: se non ho nulla da dire, non fotografo. Questo lavoro nasce da un’urgenza interiore di riflettere sul fatto che nulla nella vita è casuale, e che esiste una relazione profonda e imprescindibile tra gli esseri viventi e gli ambienti in cui si trovano. Il Mabos è l’esempio perfetto di come materia e spirito siano inseparabili, contro la visione spesso riduttiva della cultura occidentale. Qui la materia si trasforma in arte, espressione dello spirito, e la natura è la sua manifestazione tangibile e contenitore. Quale luogo, allora, potrebbe essere più adatto per creare opere che raggiungano la profondità di ciò che Giacomelli e Costabile ci hanno donato?»
Mario Cresci realizzerà invece l’installazione Specchianti, opera pensata per i terrazzamenti del bosco, in cui fotografia e materia dialogano evocando la natura fotochimica della pellicola, in un dispositivo che rispecchia la realtà in miniatura.
«La fotografia mi permette di allontanarmi dalla veridicità del reale, mosso dalla convinzione che l’accettazione della finzione del fotografico è un modo per conoscere la realtà, sempre in chiave soggettiva».
A completare il dialogo visivo e poetico sarà Elisa Longo, direttrice del Mabos e poeta in residenza, che accompagnerà l’intero percorso con la sua scrittura e visione artistica:
«Con Mario Cresci ho l’onore di celebrare un capitolo importante della mia attività qui al Mabos e dell’impronta nonché della personalizzazione che ho sentito di dover dare a questo luogo magico attraverso la poesia che non è la mia professione – sono una storica dell’arte – ma la mia essenziale maniera di esistere. Certamente è un vantaggio che entrambi, Mastrorillo e Cresci, abbiano grande esperienza nel campo della didattica e dunque abbiano tutti gli strumenti per una trasmissione più efficace di metodologie, competenze, visioni. Ritengo sia importante – se addizioniamo questo dato all’esclusiva incidenza della loro espressione artistica attraverso il mezzo fotografico – nel confronto generazionale, che pure qui si andrà a profilare, poter riconoscere, in un dialogo libero, non tanto una gerarchia rigida quanto sani modelli e riferimenti, punti di partenza per declinare, in maniera anche molto autonoma, la ricerca che ciascun fotografo residente andrà a sviluppare in questa intensa settimana di scambio, di lavoro ma anche di importante contestualizzazione. Il bilancio è molto buono ed è certamente esito di un crescendo fisiologico, dopo anni di lavoro, di competenze condivise, di caratterizzazioni anche forti prestate al progetto dagli artisti e i professionisti che si sono avvicendati.»
La riflessione si amplia al ruolo delle residenze come dispositivo culturale e sociale:
«La residenza si configura sempre come un tempo e uno spazio privilegiati di scambio capace di generare valore condiviso. Per gli artisti è un’occasione di ricerca, che sintetizza il momento della progettazione e la messa a punto delle idee, sempre in dialogo con il paesaggio naturale, sociale e culturale. Per il territorio e chi lo abita, diventa un momento di rigenerazione e di nuove, inusuali, inaspettate narrazioni: le opere nate sul posto, i gesti condivisi e gli incontri aperti attivano sguardi inediti e rafforzano il senso di comunità. Così, il processo creativo si fa esperienza collettiva e restituisce, a chi vive o attraversa questi luoghi, nuove chiavi di lettura e di relazione con essi. Il MABOS è un laboratorio a cielo aperto la cui fisionomia è data certamente dal paesaggio, in primo luogo, ma anche dal modo sempre diverso con cui idee, visioni, forme, relazioni e interazioni hanno segnato, nel senso proprio concreto di lasciare un segno, questo scenario di partenza. Le criticità sono sempre quelle legate a una complessa e sempre precaria sostenibilità economica del progetto, essendo chiaramente spesso legati a bandi pubblici e quindi alle loro tempistiche, inceppi burocratici o colpi di scena.»
A ispirare entrambe le residenze è l’opera di Mario Giacomelli, in particolare la serie Il canto dei nuovi emigranti, ispirata dal testo omonimo del poeta calabrese Franco Costabile, cardine simbolico del Mabos. Le illustrazioni di Giuseppe Talarico (Colosso Studio), che reinterpretano l’immaginario calabrese con ironia, e la documentazione fotografica di Isabella Marino, che racconterà l’intera esperienza, chiudono il progetto in un contesto in cui arte e natura si fondono in modo inscindibile.
In foto Mario Cresci con Elisa Longo

Massimo Mastrorillo

Per info e crediti fotografici si ringrazia l’ufficio stampa: Gabriella Cantafio
