di Pippo Gallelli
La sobrietà invocata dal governo non può, e non deve, soffocare il tripudio di sentimenti che accompagna il 25 aprile pur nel profondo rispetto per la scomparsa di Papa Francesco. È un giorno che vibra nella memoria collettiva del nostro Paese, una ricorrenza che non può essere spenta, contenuta, relegata al margine della storia. Anche quando i toni si fanno cauti, misurati, quasi infastiditi, la forza di questa data resta inarrestabile.
Non sappiamo se la scelta di estendere il lutto nazionale in questi giorni sia un caso o una decisione mirata. Ma è difficile ignorare come questo governo, per sua matrice storica e ideologica, abbia sempre avuto un rapporto ambiguo con la Festa della Liberazione. Troppo spesso è mancata una parola netta, una condanna senza ambiguità, un gesto simbolico forte che riconoscesse appieno il significato di quella lotta che ha restituito agli italiani la libertà. La libertà di pensare, di dissentire, di eleggere chi li governa — sì, anche chi da quella lotta è ideologicamente distante o, paradossalmente, ne è erede.
E questo dovrebbero ricordarlo anche gli odiatori da tastiera, quel popolo melmoso che ogni giorno alimenta l’odio, la disinformazione, il rancore. Anche loro oggi possono scrivere ciò che vogliono — spesso senza cognizione, spesso senza rispetto — grazie a quegli uomini e quelle donne che 80 anni fa scelsero la lotta invece della resa, la libertà invece della sottomissione.
Per questo, oggi più che mai, il 25 aprile non solo va ricordato: va celebrato con forza, con passione, con la dignità che merita. Sobrietà o no.
Perché mentre nel mondo nuovi e vecchi fascismi rialzano la testa, mentre l’antisemitismo, il razzismo, il suprematismo bianco e il culto dell’autoritarismo trovano nuovi altoparlanti nei social, nelle piazze e talvolta nei palazzi, noi dobbiamo opporre la memoria. La memoria come arma, come scudo, come dovere morale.
Non si tratta di nostalgia. Si tratta di responsabilità.
Ricordare la Resistenza significa rifiutare l’indifferenza. Significa onorare chi, con le scarpe rotte e i fucili arrugginiti, salì in montagna, sfidò la fame, la paura, la morte, pur di non accettare l’ingiustizia. Chi sabotò, chi nascose, chi aiutò. Chi pagò con la vita, chi tornò cambiato per sempre. Uomini e donne che hanno scritto col sangue e con la speranza il nostro presente.
A loro dobbiamo tutto. Anche la possibilità di dissentire, di votare, di criticare questo o quel governo. A loro dobbiamo la libertà che, troppo spesso, diamo per scontata.
Oggi il miglior modo per ricordarli è non arretrare. Non cedere al cinismo, al revisionismo, alla pigrizia della memoria. Difendere i valori della Resistenza significa difendere la democrazia, ogni giorno, in ogni scelta, in ogni parola.
Viva il 25 aprile. Viva la libertà. Viva chi ha avuto il coraggio di conquistarla per tutti.