Cultura

Parole dal Mediterraneo. Memorie di un giardino perduto

Sarah l’ebrea,
Quando passi tra gli ulivi sui fianchi e i dorsi dei monti
E scendi giù per quei ronchi fatti da mani contadine
Chiamami e dalle ombre apparirò ai tuoi occhi arabi
Fà il mio nome e scalane i mille tratti.
Soli, in questo buio, guardiamo senza vedere.
Non abbiamo stelle a guidarci
Né bastoni a cui appoggiarci, con cui domare le volpi sui colli
Né un sentiero a condurci.
Io non ho casa
E tu non hai esilio.

Così canta il poeta palestinese Ghassan Zaqtan. Sarah l’ebrea dagli occhi arabi, una sintesi perfetta che racchiude due culture che camminano sulla stessa terra e che si affacciano sullo stesso mare.

E’ un mare, quello Mediterraneo, che nei secoli ha permesso l’incontro, lo scambio e la convivenza di culture diverse. Ma come un respiro, a ogni espansione è seguita una fase di contrazione in cui le comunità si sono chiuse su loro stesse, perdendo la memoria dell’antica tolleranza.

Allora la convivenza diventa sorda e cieca. Le genti camminano sulla stessa terra e si affacciano sullo stesso mare ma non si vedono e non si ascoltano. Eppure le loro radici sono intrecciate da centinaia di anni. Sono alberi cresciuti uno accanto all’altro.

Il Signore tuo Dio sta per farti entrare in un paese fertile: paese di torrenti,
di fonti e di acque sotterranee […] paese di frumento,
di orzo, di viti,
di fichi e di melograni; paese di ulivi, di olio
e di miele
Torah Deuteronomio 8,7-8

Il melograno, il fico, la palma di dattero, il mirto, la vite dell’uno sono uguali al melograno, al fico, alla palma di dattero, al mirto, alla vite dell’altro.

Egli è Colui Che fa scendere l’acqua dal cielo, con la quale facciamo nascere germogli di ogni sorta, da essi facciamo nascere vegetazione e da essa grani in spighe e palme dalle cui spate pendono grappoli di datteri. E giardini piantati a vigna e olivi e melograni, che si assomigliano ma sono diversi gli uni dagli altri.
Corano Sura VI Al-An’âm v.99

Ma il melograno è spezzato, la vite bruciata, l’ulivo contorto non dà più frutti.
La memoria di quell’antico giardino si è persa tra le trame della paura.
Paura della morte, paura della vita, paura dell’altro.
Inspiro, attendo il momento in cui le genti si siederanno su una pietra, all’ombra di un tamerice, e  ascolteranno il fruscio delle foglie, il canto degli uccelli e i sussurri delle onde del mare.

…e germoglia il ramo dell’olivo, che mai inganna
Orazio Epodi