È un’immagine che nessun diplomatico internazionale avrebbe mai immaginato di vedere nel cuore di una missione ufficiale: soldati dell’IDF che alzano i fucili e sparano in aria, seminando il panico tra una delegazione composta da 25 rappresentanti di paesi europei, arabi e asiatici. Una scena da zona di guerra, non da visita diplomatica. Eppure, è quanto è accaduto nelle scorse ore a Jenin, in Cisgiordania, sotto gli occhi del mondo.
Tra i presenti anche Alessandro Tutino, viceconsole italiano a Gerusalemme, rimasto illeso. Ma l’Italia, come altri Stati, ha subito reagito con durezza. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha definito l’episodio “inaccettabile”, convocando immediatamente l’ambasciatore israeliano a Roma per chiedere spiegazioni ufficiali. Il Belgio, per voce del ministro Maxime Prévot, ha chiesto “spiegazioni convincenti” e si è detto “scioccato”. L’Unione Europea, tramite l’Alto Rappresentante Kaja Kallas, ha chiesto un’indagine trasparente e ha ammonito: “Ogni minaccia alla vita dei diplomatici è una violazione gravissima del diritto internazionale”.
Una delegazione tra le linee del fuoco
La missione, coordinata secondo quanto riferito da più fonti con le autorità israeliane, aveva lo scopo di osservare la situazione umanitaria nei Territori Palestinesi. E proprio mentre si trovavano nei pressi del campo profughi di Jenin, una delle aree più colpite dall’attuale ondata repressiva dell’esercito israeliano, i diplomatici sono stati sorpresi da colpi d’arma da fuoco sparati in aria da militari dell’IDF. Le immagini diffuse dal ministero degli Esteri palestinese mostrano la delegazione fuggire tra urla e concitazione verso i veicoli, sotto il rumore secco degli spari.
L’esercito israeliano, in un comunicato che cerca di smorzare la gravità dei fatti, sostiene che la delegazione si sarebbe “allontanata dal percorso previsto”, entrando in un’area “non autorizzata”. Ma la versione non convince. Il convoglio era composto da circa venti veicoli chiaramente identificabili, e la missione era ufficiale. L’azione dell’IDF sembra quindi più una manifestazione muscolare che un errore tattico.
Un gesto deliberato?
Il ministero degli Esteri dell’Autorità Nazionale Palestinese accusa Israele di aver compiuto un atto deliberato e “illecito”, denunciando una violazione delle convenzioni diplomatiche e chiedendo una protezione internazionale per il personale straniero. L’episodio si inserisce in un contesto sempre più drammatico. Mentre a Jenin si sparava sui diplomatici, a Gaza l’ospedale al-Awda veniva colpito dall’artiglieria israeliana. Almeno 82 palestinesi sono morti e 262 feriti nelle ultime 24 ore. Dall’inizio dell’operazione militare israeliana, il bilancio è salito a oltre 53.000 vittime.
Il volto del disprezzo diplomatico
L’episodio di Jenin rappresenta un punto di non ritorno nelle relazioni tra Israele e una parte significativa della comunità internazionale. Se persino diplomatici protetti dalle convenzioni internazionali possono finire nel mirino delle armi israeliane, chi può sentirsi al sicuro nei Territori Occupati?
La linea difensiva dell’IDF, che parla di una “zona vietata”, si scontra con la testimonianza diretta dei presenti e con la realtà: i diplomatici stavano osservando una situazione di emergenza umanitaria, non partecipando a un’azione ostile. Eppure, sono stati accolti a colpi di fucile.
Una diplomazia messa alla prova
La crisi rischia ora di allargarsi. Più Stati stanno valutando misure diplomatiche. L’Unione Europea ha annunciato una revisione dell’accordo di cooperazione con Israele. E se da un lato la voce dei governi si alza contro l’episodio, dall’altro quella della società civile internazionale invoca con crescente urgenza una protezione per le popolazioni palestinesi.
Papa Leone XIV ha espresso ancora una volta il suo dolore per Gaza, invocando l’ingresso di “dignitosi aiuti umanitari” e ricordando che “il prezzo straziante delle ostilità lo pagano i bambini, gli anziani, i malati”. Le sue parole, pronunciate in Vaticano durante l’udienza generale, suonano come un monito al mondo che guarda ma non interviene.
La visita diplomatica di Jenin doveva essere un atto di testimonianza e impegno. Si è trasformata in un simbolo: della tensione crescente, del disprezzo delle regole, e della fragilità della diplomazia in tempi di guerra. E oggi, più che mai, appare evidente che il problema non è solo umanitario. È politico. È morale. È universale.
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