È morto a Roma all’età di 87 anni, Nino Benvenuti, uno dei più grandi pugili italiani di sempre. Con lui se ne va non solo un campione, ma anche un simbolo di un’epoca in cui il pugilato era nobile e feroce, fatto di sudore, silenzi e dignità. Con la sua scomparsa si spegne un frammento autentico dello sport italiano e di una certa idea di forza, eleganza e umanità.
Nato a Isola d’Istria il 26 aprile 1938, Benvenuti salì sul ring giovanissimo. Fin dagli inizi mostrò di non essere solo tecnica e potenza, ma anche stile, carisma e intelligenza tattica. La sua carriera dilettantistica fu impressionante: 120 vittorie in 120 incontri, medaglia d’oro alle Olimpiadi di Roma 1960 nei pesi welter e trofeo Val Barker come miglior pugile per stile.
Passato professionista nel 1961, conquistò il titolo mondiale dei superwelter nel 1965. Due anni dopo, il 17 aprile 1967, scrisse la storia al Madison Square Garden battendo Emile Griffith e laureandosi campione del mondo dei pesi medi. Fu un match epico, eletto “Incontro dell’anno” dalla rivista The Ring. Difese il titolo fino al 1970, quando perse contro Carlos Monzón, e dopo una rivincita nel 1971 decise di ritirarsi.
Benvenuti fu molto più di un pugile. Divenne un volto noto anche al di fuori del ring, partecipando a film, programmi televisivi e iniziative sociali. Nel 1996, in un gesto silenzioso ma eloquente, prestò servizio come volontario in una struttura di Madre Teresa di Calcutta. Nel 1992 fu il primo italiano a entrare nella International Boxing Hall of Fame, riconoscimento che premiava non solo i suoi successi, ma anche il modo in cui li aveva raggiunti.
Con la sua morte si chiude davvero un’epoca: quella del pugilato romantico, vissuto come missione e scuola di vita. Un tempo in cui gli atleti salivano sul ring senza ostentazione, con il volto segnato e il cuore scoperto, per misurarsi prima di tutto con se stessi.
Ogni incontro raccontava qualcosa di più di una sfida sportiva: era un frammento di vita, un gesto di rispetto. Non contava solo vincere, ma come si combatteva. Anche la sconfitta aveva una sua misura.
Oggi restano i ricordi: le immagini in bianco e nero, le cronache entusiaste, e l’esempio di uomini come Benvenuti, che hanno saputo affrontare la vita con lo stesso spirito con cui salivano sul quadrato.
Fonte foto: Picryl e Wikimedia
