Cultura

Diario di scuola. Ai giovani non piace leggere

IH, il testo narrativo.
Un aspetto decisamente positivo è che lavoro, per la prima volta nella storia della mia carriera, su un libro di testo scelto da me, che mi piace molto: lo trovo utile ed efficace per la progressione degli argomenti e per la selezione dei brani, graficamente accattivante, fornito di esercizi intelligenti.
Il programma del primo anno, inoltre, è bellissimo: anzitutto, si tratta di intraprendere un lavoro di “smontaggio” del testo narrativo, per scoprirne tutte le sue componenti; in questo modo, gli studenti imparano ad “abitare” i testi, ritrovando in ciascuno di essi una dimensione familiare ed accogliente, prima ancora che quell’orizzonte ignoto, diverso e peculiare in ogni esperienza di lettura, che può farli viaggiare lontano.

Così, con le prime lezioni, ne abbiamo scoperto gli elementi imprescindibili: lo schema, le tecniche di presentazione dei personaggi, la fabula e l’intreccio, la voce del narratore. Ogni argomento è stato esemplificato dai brani antologici, sui quali abbiamo lavorato con attenzione: i concetti sono stati subito chiari, e le lezioni mi sono apparse efficaci.
Efficaci, ma tiepide.

E così, è accaduto che non ho più resistito, e le porte della nostra aula si sono spalancate, per accogliere  Maurizio de Giovanni e, insieme a lui, un lungo stuolo di amici: Giuseppe Lojacono, il commissario Giuffre’,  Letizia, e la sua rivale in amore, la dottoressa Piras. E poi Mirko, Antonio, Marinella, Giada e Allegra, ragazzi tanto diversi quanto uguali al mio gruppo colorato di maschi quattordicenni, i quali – come sempre accade alla loro età – hanno guardato ai nuovi arrivati con una diffidenza che non ha superato il limite di cinque minuti, per trasformarsi rapidamente in curiosità, e poi in interesse, e poi in vera e propria empatia, solidarietà, condivisione, amicizia.

E infine, ahinoi, in classe è arrivata la morte, vestita degli abiti del coccodrillo, un individuo enigmatico e losco, che mentre ammazza, uno ad uno, i nuovi amici dei miei alunni, piange, e scrive lettere d’amore. Lo odiamo ad ogni colpo di pistola, uno solo, fatale, che parte a tradimento da una nicchia che si apre in un muro diroccato, o da un albero che diviene il suo riparo, o da un angolo nascosto di strada; anzi, cominciamo ad odiarlo prima, quando ne seguiamo i movimenti e ci accorgiamo che il suo sguardo lacrimoso e la sua curiosità malata accarezzano uno dei ragazzi, e allora vorremmo a tutti i costi proteggerlo dalla sua ferocia, ma scopriamo che la nostra premura e le nostre voci nulla possono contro le parole che si susseguono sul foglio; esse sono fiumi inarrestabili e segnano irrimediabilmente quei destini che ci sono diventati improvvisamente cari, per magia o per miracolo.

-“Prof, quello che mi fa arrabbiare del coccodrillo è che non si tiene nulla dentro, ci dice tutto, ma noi non possiamo fermarlo!”
– “L’episodio della morte che arriva sul binario della stazione, prof… adesso sì che è chiaro. All’inizio non ci avevo capito niente!”

Improvvisamente quelle espressioni tiepide e senza vita (“l’inizio in medias res è quando l’autore colloca il lettore dentro una scena, senza chiarirne l’antefatto; i personaggi a tutto tondo sono quelli imprevedibili, come gli esseri umani”), che alle verifiche ripetevano a memoria, si fanno vive, si riempiono di senso, e la scoperta del senso traspare sempre dagli occhi, che si accendono di piccole fiamme, luminose e inconfondibili.

Si avvicina un collega, apre la porta: – Avevo percepito un silenzio anomalo per questa classe, pensavo non ci foste.
E invece ci siamo, io senza voce (“però dovete leggere sempre voi, prof”), loro increduli, per aver viaggiato lungo una trentina di pagine, senza battere ciglio.
E poi, alla fine lo ammettono: leggere non è bello, ma fa volare il tempo.

Dobbiamo proprio spiegarglielo, che questa è una contraddizione in termini?

Foto di Sabrina Eickhoff da Pixabay