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Steccato di Cutro: un dovere comprendere quello che è accaduto!

“Steccato” di Cutro 11 di Marzo.  Sono tantissimi i cittadini arrivati. Si sono dovuti disporre lungo una fila lunghissima, interminabile, altrimenti non sarebbero potuti arrivare sulla spiaggia nemmeno dopo ore di corteo. Non cercavano risposte a rivendicazioni categoriali. Erano lì in rappresentanza di diverse realtà associative, però sotto un’unica bandiera, condivisa nel suo significato profondo: quella della solidarietà e del dolore, piantata nell’animo di ognuno sconvolto da quella tragedia. Una sciagura che il nostro Stato doveva, per lo meno, provare a scongiurare. 

La testa del corteo è guidata da una croce costruita con i pezzi rimasti del barcone che trasportava persone disperate, non invasori. Al centro, aggrappati allo striscione della Rete 26 Febbraio, i familiari dei morti già seppelliti, di quelli dei morti da seppellire e di quelli che, incessantemente, aspettano che i corpi ormai esanimi dei loro familiari vengano restituiti dal mare. Espulsi, più che restituiti, è la parola giusta più di ogni altra: espulsi dalla loro terra; espulsi dall’Occidente opulento e poco misericordioso.

La narrazione protezionistica del  “Prima gli Italiani” , con le strategie degli improbabili blocchi navali, ha contrapposto all’accoglienza, anche in extremis, i respingimenti senza compassione. Quella compassione che, invece, è emersa nell’animo delle persone semplici cutresi che si sono riversati sulla spiaggia per portare soccorso, in un tragico momento di bisogno. 
Insieme a loro, poi, Crotone e tutta la Calabria solidale e accogliente.
Il Mar Ionio non è strato baciato come il Mar Rosso dal miracolo biblico. Non si è aperto all’esodo, ai disperati.  Eppure, le vittime erano le stesse: scappavano dalle nuove schiavitù e orientavano gli ormeggi verso quell’occidente che le ha affamate. È disdicevole gettare un’emergenza come questa nella rissa costante e stancante, mentre ancora, ogni giorno, quel mare restituisce corpi senza vita. Però ci sono domande legittime che un Paese democratico deve porre, per lo meno, a se stesso: perché non si sono attivati in tempo i soccorsi? Perché non sono stati mandati in mare le navi adeguate per salvare quelle persone disperate? Non è una speculazione, come invece sostengono i vertici del Governo del nostro Paese. Non si tratta di speculare su una immane disgrazia come quella avvenuta a Steccato di Cutro. Significa, almeno, avere il coraggio di riconoscere che qualcosa non ha funzionato, perché circa 100 persone, tra cui donne e bambini, sono affogate nelle acque del nostro mare senza che sia stato fatto il possibile per salvarle.  

Capire bene cosa sia successo non solo è un dovere nei confronti di questa strage di innocenti, ma rappresenta un atto di rispetto nei confronti della Storia e della dignità di un terra da sempre accogliente e mai respingente. E, soprattutto, può aiutare ad evitare che si ripetano tragedie così terribili.