Cultura

Addio a Brian Wilson, il genio dei Beach Boys che reinventò la musica pop

È morto a Los Angeles, all’età di 82 anni, Brian Wilson, cofondatore, anima e architetto sonoro dei Beach Boys, tra i più grandi innovatori della musica del Novecento. La notizia è stata diffusa oggi dalla famiglia con un comunicato asciutto e commosso: “Brian se n’è andato serenamente, circondato dall’amore. Le parole non bastano per descrivere ciò che ha significato per noi e per il mondo.”

Con la sua scomparsa si chiude un’epoca: quella del sogno californiano degli anni ’60, delle armonie vocali perfette, della surf music che si fece arte, ma anche del tormento interiore trasformato in bellezza. Wilson non è stato solo un compositore: è stato un alchimista del suono, capace di spingere i limiti della canzone pop fino a territori inesplorati.

Il ragazzo che ascoltava voci nella testa

Nato nel 1942 a Inglewood, in California, Wilson crebbe in una famiglia severa e ambiziosa. Fin da giovanissimo mostrò una sensibilità musicale fuori dal comune: era capace di trascrivere armonie vocali complesse a orecchio e registrare più strumenti da solo con un registratore a bobine. Nel 1961 fondò i Beach Boys insieme ai fratelli Carl e Dennis, al cugino Mike Love e all’amico Al Jardine. Il successo fu immediato: in pochi anni, la band divenne il volto della gioventù americana.

Ma Wilson non si accontentava. Mentre il mondo cantava “Surfin’ USA” e “Fun, Fun, Fun”, lui sognava Bach, Gershwin e Phil Spector. L’abbandono dei tour nel 1964 segnò l’inizio della sua parabola creativa più audace, ma anche della sua discesa nell’abisso.

Pet Sounds, Smile e la rivoluzione del pop

Nel 1966 pubblicò Pet Sounds, un album che cambiò la storia della musica. Scritto, arrangiato e prodotto quasi interamente da lui, è oggi considerato una delle vette più alte mai raggiunte dal pop. Paul McCartney lo definì “il disco più bello mai realizzato”. L’uso di strumenti inusuali, il lavoro maniacale in studio e una malinconia diffusa sotto la superficie luminosa fecero di Pet Sounds un capolavoro introspettivo e visionario.

Wilson si spinse ancora oltre con il progetto Smile, una “sinfonia adolescenziale a Dio” che avrebbe dovuto rivoluzionare tutto. Ma il peso delle aspettative, le pressioni del gruppo e il deteriorarsi della salute mentale portarono alla cancellazione del disco, che diventò leggenda e fu pubblicato solo nel 2004, in una versione ricostruita dallo stesso Brian.

Il silenzio, il ritorno, la leggenda

Gli anni ’70 e ’80 furono segnati da isolamento, dipendenze e abusi da parte del controverso terapista Eugene Landy. Wilson sembrava perduto, ingabbiato nella sua mente fragile. Eppure, tra mille fatiche, tornò. Con dischi solisti come Brian Wilson (1988), Imagination (1998) e No Pier Pressure (2015) dimostrò che la sua vena artistica non si era spenta.

Nel 2024, la famiglia rese pubblico che a Wilson era stato diagnosticato l’Alzheimer. Da allora, le sue apparizioni pubbliche si erano fatte sempre più rare, ma l’affetto dei fan e l’ammirazione dei colleghi non vennero mai meno.

Un’eredità incancellabile

Brian Wilson non era un semplice songwriter: era un artista totale, capace di mescolare spiritualità, fragilità e innovazione. Le sue composizioni – “God Only Knows”, “Don’t Worry Baby”, “Good Vibrations” – continuano a commuovere e ispirare.

Ha influenzato intere generazioni di musicisti: dai Beatles a Radiohead, da Flaming Lips a Tame Impala. Ogni volta che una canzone pop osa essere ambiziosa, sognante e complessa, c’è un po’ del suo spirito

Come disse una volta: “La mia musica viene dal cuore. Se tocca il vostro, allora ho fatto il mio lavoro.”

E l’ha fatto. Straordinariamente.