Cultura

Luz e la poesia delle piccole cose

La poesia può essere dappertutto se uno sa vederla e ascoltarla. Hugo von Hofmannsthal in Der Dichter und diese Zeit diceva questo: Così il poeta è là dove non sembra si trovi, e si trova sempre in un luogo diverso da quello in cui lo si pensa. Abita nella casa del tempo in modo singolare, vive sotto la scala, là dove tutti gli devono passare davanti, e nessuno lo nota.
Quello che più mi colpisce di Luz nel suo disco d’esordio, Piccole Canzoni, è il suo entusiasmo che ricorda a tutti noi che non esiste piccola cosa al mondo di cui non ci possiamo meravigliare.
Sottotitolato “Musiche e musichine per piano non solo”, questo è un album strumentale in cui il protagonista è il pianoforte, accompagnato da tastiere dalle sonorità vintage, fiati, basso, batteria e interventi vocali.
Le musichine di Luz sono uno con tutto ciò che vive, ecco perché le definisco poetiche. In un tempo in cui le persone tendono ad allontanarsi sempre più dalla realtà arriva la poesia – quasi sempre in esilio rispetto al proprio tempo- nelle sue forme più diverse che si fa profonda e con leggerezza tira fuori mille emozioni. Esattamente come Luz, artista poliedrico e originale, riesce a fare con la sua musica che porta molta luce con una leggerezza infinita e ci fa sentire vivi.
Luz ci regala 16 tracce per un totale di 30 minuti, dove ogni brano è una storia fatta di atmosfere dal carattere intimista unita ad altre più leggere e giocose, in un incredibile equilibrio di suggestioni.
Da ascoltare e portare nel cuore.

Sei un personaggio eclettico che ha come fil rouge la musica. Puoi presentarti ai nostri lettori e alle nostre lettrici?
Sono romano di nascita, milanese di adozione e riminese per scelta, e già da piccolissimo trotterellavo per casa con il mangiadischi arancione in cui mettevo Obladì Obladà e Acqua azzurra, acqua chiara, riconoscendo non so come le copertine. Sono cresciuto fra Beatles, Battisti, De André, Elton John, Pink Floyd, Billy Joel e tutti i grandi nomi che scoprivo con meraviglia nei tanti dischi che riempivano la nostra casa, frequentata spesso da Rino Gaetano, Renato Zero, Enrico Ruggeri, Claudio Baglioni e tanti altri, perché mia madre è una giornalista di spettacolo, soprattutto di musica, e si creavano fra loro rapporti di amicizia sincera. Una sera ho fatto incazzare Loredana Bertè perché le avevo rotto involontariamente una corda della chitarra. A cena con Antonello Venditti abbiamo fatto una gara di barzellette, e ridendo lui si è macchiato la cravatta di sugo, cosa che mi aveva colpito molto… Crescere fra tanti personaggi famosi era come crescere a Disneyland, sviluppando anche una certa propensione creativa e artistica tipica del mio segno zodiacale, Gemelli. Dopo le medie, avrei voluto frequentare il Conservatorio ma, con l’imbarazzante incoscienza dei 14 anni, mi ero presentato all’esame di ammissione suonando a orecchio Song For Guy di Elton John, e ovviamente non ero stato ammesso. Ho studiato recitazione, ho recitato in teatro, sono stato co-protagonista della fiction su Italia Uno “Chiara e gli altri”, accanto a Ottavia Piccolo e Alessandro Haber, ho suonato nei piano bar, e anche con Enrico Ruggeri, New Trolls, Ricky Gianco e altri. Poi ho vinto una borsa di studio per pubblicitari e ho cominciato a lavorare come copywriter in importanti agenzie internazionali, vincendo premi prestigiosi, e poi sono stato socio fondatore e direttore creativo di due agenzie di comunicazione. Ho scritto per molti anni su Lupo Alberto. In mezzo a tutto questo, ho continuato sempre a suonare, come un bisogno primario di esprimermi e comunicare. E per chiudere quel cerchio del Conservatorio rimasto in sospeso, negli ultimi anni ho ricominciato a studiare pianoforte, ho superato l’esame del quinto anno con la media del 9, e sto preparando quello dell’ottavo anno.

Suoni il pianoforte, la chitarra, e Stefano D’Orazio ti ha regalato la tua prima batteria.
Ho cominciato da ragazzino a studiare il piano, e poi la batteria, che Stefano D’Orazio mi aveva regalato con affetto alla fine di un tour. E poi la chitarra, che era l’ideale per conquistare le ragazze e per questo mi dava più soddisfazione, specie nei villaggi turistici dove facevo l’animatore.

Tutto nel tuo debut album parla della cura che metti nelle cose, dal packaging ai titoli dei brani passando per le Piccole Canzoni contenute. Come ti è nata l’idea di questo disco e quanto tempo ci hai messo a renderla reale?
L’idea è nata per caso, fra una Allemanda di Bach e una sonata di Mozart, una canzone dei Beatles e una intro dei Genesis, i miei primi riferimenti al pianoforte. Le piccole canzoni hanno cominciato a venire fuori piano piano, come qualcosa di mio che si affacciava fra le composizioni degli altri,
senza nessuna ambizione commerciale né spasmodiche visibilità sui social, non pensando di farne un disco. Poi, facendole ascoltare a vari amici musicisti, che ne apprezzavano le atmosfere così diverse fra loro, e anche la particolarità della struttura asimmetrica, concisa, la brevità di alcuni pezzi che da pubblicitario ho pensato come piccoli spot, è nata l’idea di questo progetto. Essenziale, minimalista, all’insegna della semplificazione, volutamente diverso da quelli di pianoforte, forse un po’ tutti omologati. Come dicava Max Ernst, “non bisogna avere paura di ricadere nell’infanzia dell’arte”. La copertina, invece, è stata realizzata da Alessia Casati, artista sensibile dal tratto fantasioso che ha saputo cogliere i vari elementi che rispecchiano la mia anima e la mia personalità.

Che messaggio hai voluto affidare a queste canzoni così poetiche in un mondo che va sempre più veloce e che alle volte mostra una superficialità disarmante?
I messaggi li lascio a chi ha qualcosa di importante da dire. Queste sono musichine che si sono messe il vestito bello per uscire a incontrare il mondo. Senza inseguire le mode che oggi troppo facilmente si adeguano a note e suoni tutti uguali, formule ripetitive che ci assillano in rete e spesso non distingui neppure più gli interpreti. E probabilmente non lasceranno nessun segno. Io ho pensato a qualcosa di diverso, quello che sentivo dentro, sinceramente, un’oasi delicata, serena, sognante, che esprimesse il mio stato d’animo e quello in cui qualcuno avesse bisogno di riflettersi. Perché la musica ha tanti linguaggi, tanti suoni che vanno al di là delle omologazioni del momento. E queste piccole canzoni possono essere anche uno stimolo per i giovani musicisti a non arrendersi mai, a non avere paura, e a cercare la loro voce creativa interiore, qualsiasi essa sia. E se è vera, arriverà alla gente, e se anche sarà solo una persona, sarà stata la cosa giusta.

Anche il tuo stile musicale rispecchia il tuo eclettismo, quanti generi musicali hai condensato in queste 16 tracce? (Al giorno di oggi sta ancora in piedi, secondo te, una netta divisione di generi?)
Quando Rinaldo Donati, il mio produttore esecutivo, ha fatto insieme a me la selezione dei brani, mi aveva detto che più che un disco gli sembrava un pulmino, per quante atmosfere e generi conteneva. Io ascolto tantissima musica e suono molto, per studio, per piacere e per tenermi in esercizio, tutto quello che ha contribuito alla mia formazione, facendomi amare i vari generi, e all’improvviso mi viene un’idea, accordi nuovi che magari sviluppo oppure lascio da una parte, e forse un giorno torneranno fuori in altre forme, e rispecchiano le mie influenze, dal pop al neoclassico al blues l’easy listening anni ’90, sigle di telefilm, jazz, barocco, Settecento, ragtime, atmosfere fumose da film francesi in bianco e nero, e tanto cinema, che è sempre stato un altro mio grande amore. Per cui è difficile, per me, pensare a una divisione di generi.

Nel sound dell’album è tutto analogico o ci sono anche effetti digitali?
A parte qualche effetto di sottofondo, il disco è tutto rigorosamente suonato live, e con strumenti veri, senza fronzoli né trucchi. Io ho suonato il pianoforte, e anche tre tastiere storiche dal suono vagamente vintage, Rhodes, Clavinet e Philicorda, molto amate dagli addetti ai lavori.

Racconti con il pianoforte piccole storie, ce ne è una che ti piacerebbe raccontarci più delle altre?
Hanno tutte un posto nel mio cuore… Disse il Maestro è nata durante un workshop di Pianosolo.it con il Maestro Remo Vinciguerra, uno dei grandi didatti di questo millennio, Enfant Terrible è un riferimento a un mio fortunato slogan pubblicitario, Colazione a Lipsia è un omaggio a Bach, Ninna Nanna per Sofia è dedicata alla figlia dei miei vicini di casa, che faticava ad addormentarsi. E Rhapsody for a dream, che è nata in un giorno di malinconia, come un sogno che mi aveva lasciato dentro qualcosa di indefinito, adesso è il fil rouge di un saggio che porterà in scena una prestigiosa scuola di danza moderna in Francia.

Quali sono le tue fonti di ispirazione (non per forza musicali)?
La musica tutta, e su tutti Bach e Beatles. E poi cinema, pittura, poesia, letture, e ogni persona e ogni luogo del mondo che hanno lasciato in me qualcosa di speciale.

Luz viene dalla contrazione del tuo cognome o da altro? Ci sveli anche il resto della tua band e di chi ha reso possibile questo disco?
Luz è la contrazione del mio cognome, Luzzatti, troppo complicato per via di quelle lettere doppie che creavano confusione pure a scuola. Ed è un suono bello, che indica la luce, la luminosità, come
un regalo di vita che si unisce bene alla musica. I compagni di viaggio in questa piccola avventura,
oltre al direttore artistico Rinaldo Donati, sono Marco Brioschi alla tromba e flicorno, Andrea Vagnoni al basso, Alberto Pederneschi alla batteria, un misterioso ghost drummer di fama internazionale che, per esclusive contrattuali, non può essere citato. E l’amichevole e giocosa partecipazione vocale di Claudio Sanfilippo, cantautore vincitore anche della Targa Tenco.


Foto di Max Fortuna