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Omelia di Don Michele Aramini per il Giovedì Santo

Don Michele Aramini, durante l’omelia del Giovedì Santo del 6 aprile 2023, ha parlato della Cena del Signore, presentata nei Vangeli attraverso il segno sacramentale del pane spezzato e del vino versato. Secondo il sacerdote, questi simboli esprimono la consegna eucaristica che Gesù fa di sé, in continuità con la pasqua di Israele e con l’unità della nuova alleanza.
La missione di Gesù è far conoscere il nome del Padre a tutti gli uomini e a tutte le donne, ma il mondo si è opposto e continua ad opporsi all’evangelo di Dio. Per questo, Gesù anticipa interamente la sua passione nella Cena del Signore, manifestando la sua suprema libertà filiale con cui va alla passione, facendo interamente sua la volontà del Padre.
Infine, Don Aramini sottolinea che non sono le piaghe inflitte al corpo di uomo di Gesù che ci hanno procurato la vita, bensì l’irremovibile fermezza dell’amore con cui egli liberamente ha sofferto e voluto soffrire le piaghe inflitte alla sua persona, corpo e anima per noi e per molti. E ci ricorda, poi, che chi si dona interamente non ha più nulla da perdere perché ha già donato tutto.
Nasce così una nuova umanità, l’umanità risorta libera dalla paura di amare, libera dalla paura della morte.

Omelia Don Michele Aramini per il Giovedì Santo, 6 Aprile 2023

È arrivata l’ora di Gesù. L’annuncio dell’anno giubilare, proclamato nella sinagoga di Nazareth, si compie.
Quell’ora continuamente annunciata nei Vangeli adesso arriva al suo primo compimento. A questo primo compimento seguirà quello del suo patire e, infine, seguirà quello escatologico del compimento finale nel Regno di Dio. I Vangeli sinottici sono concordi nel presentare la cena specialmente nel segno sacramentale sacrificale del pane spezzato e del vino versato, l’eucarestia, un tema che Giovanni aveva fortemente già svolto a Cafarnao, con il discorso del pane di vita, e con l’esortazione di Gesù a mangiare la sua carne e bere il suo sangue, dopo il racconto dell’unica moltiplicazione dei pani.
Anche i Sinottici ci hanno introdotto progressivamente al tema Pasquale di Gesù che è pane per l’umanità.
Il racconto che questi Vangeli fanno della cena non dice tutto della cena ebraica, ma si concentra sul segno del pane e del vino, che esprimono la consegna eucaristica che Gesù fa di se.

La menzione della nuova alleanza con il riferimento esplicito alla profezia di Geremia (capitoli 30-33) segnala l’unità e la continuità della pasqua di Israele con la novità della pasqua di Gesù. Non si tratta di un’altra Pasqua ma dell’unica Pasqua ebraica che il messia porta a iniziale compimento. L’alleanza del Sinai dopo tutta la vicenda di Israele inizia a compiersi nella cena sacramentale del messia servo-figlio di Dio Padre, segno di libertà e di obbedienza, di comunione, di morte e di vita immortale, a cui tutti siamo ormai invitati.
Gesù prende il pane e prende il calice. Il ciclo della cena intende soprattutto evidenziare la suprema libertà filiale con cui Gesù va alla passione, facendo interamente sua la volontà del Padre, con tutte le conseguenze che una tale obbedienza comporta per lui. Il Padre dona il figlio all’umanità perché essa sia salvata, ma non vuole prima di tutto che il figlio muoia, e gli ha affidato una missione da portare a termine fino alla fine. È la missione di far conoscere il nome del Padre a tutti gli uomini e a tutte le donne, che il padre ha donato al figlio dal mondo. Il mondo, però, si è opposto e continua a opporsi con una lotta mortale all’evangelo di Dio, ha odiato e continua a odiare con odio omicida e, in realtà, inconsapevolmente deicida una tale missione e i suoi araldi i quali non sono dal mondo, così come il figlio non è dal mondo.

Perché sia manifesto che l’opera di Dio per il mondo è un’opera di purissimo e indefettibile amore, è supremamente importante che risplenda la libertà con cui Gesù entra nella volontà del Padre. Bisogna che il mondo sappia che egli ama il Padre e fa quello che il Padre gli ha comandato. Per questo, nel sacramento della cena, Gesù anticipa interamente la sua passione, quando ancora nessuno gli si è avvicinato e gli ha messo le mani addosso per arrestarlo e consegnarlo. Egli non si sottrae ma prende l’iniziativa di dire il suo libero e preveniente si, consegnandosi all’intera serie di eventi che, lungo la sua passione storica, faranno violenza al suo messianismo e alla sua esistenza umana, fino a stritolarlo dentro una macchina di menzogna e di odio.

Se noi siamo stati salvati dalla passione di Gesù, e dalle sue piaghe siamo stati guariti, non sono le piaghe inferte al suo corpo di uomo che ci hanno procurato la vita, bensì l’irremovibile fermezza dell’amore con cui egli liberamente ha sofferto e voluto soffrire le piaghe inflitte alla sua persona, corpo e anima per voi e per molti.
Gesù spezza il pane e lo dà ai discepoli da mangiare, poi prende il calice, rende grazie e lo dà loro da bere. Fa i gesti tipici del capofamiglia durante la cena ebraica. Ma sono le sue parole che ne dicono e ne interpretano il senso: Questo sono io, prendetemi e mangiatemi. Il corpo è la persona in quanto si manifesta, si esprime ed entra in relazione con altri. Il corpo è il suo essere per gli altri, per Dio.
Se Gesù si dà a qualcuno, dà il suo corpo, e il suo corpo è tutto se stesso, non soltanto una parte di sé.
Egli non offre una prestazione, non dona qualche cosa, ma prende se stesso si spezza e si dà e il nutrimento ai suoi, come corpo separato dal sangue, versato per essi e per molti. Il rito della cena si rivela un pasto sacrificale, in cui Gesù celebra la sua morte.

Cena con i discepoli e sacrificio offerto sono due elementi significanti inseparabili della comunione eucaristica. Il segno del pane e del vino ha la luminosità di poter essere dato in mano e preso in bocca, di poter essere interamente mangiato e bevuto. Siamo in continuità con l’alleanza sinaitico e con la nuova alleanza di Geremia.
Nelle parole per voi e per molti è racchiusa l’idea della destinazione del dono, che Matteo 26,28 precisa in remissione dei peccati, esplicitando così il senso redentivo e liberatorio del gesto di Gesù. La continuità tra la nuova alleanza e il segno del pane e del vino consiste nel fatto che nel sangue di Gesù si fonda il perdono, che il Signore sempre accorderà ormai a tutte le iniquità del suo popolo; egli non si ricorderà più del loro peccato. La separazione del corpo dal sangue significa dunque, la morte di Gesù e, d’altro canto, il mangiare il suo corpo e bere il suo sangue, da parte dei discepoli, è il segno del loro entrare in comunione con lui, nella sua alleanza con il Padre, e dell’essere associati al suo mistero pasquale.
Il pane interamente mangiato e il vino interamente bevuto fanno risaltare, da una parte, la totalità del dono di sé che Gesù fa al Padre per la salvezza dei discepoli, dall’altra, segnalano drammaticamente la sua scomparsa dalla terra dei viventi, la sua sepoltura.

Se si coglie fino in fondo il significato efficace dell’economia sacramentale, cioè che i sacramenti causano efficientemente la grazia, appunto significando, a cena conclusa la passione del messia è interamente consumata, Gesù è già morto e sepolto, e questo prima ancora che inizino gli eventi della passione storica.
Quando Giuda arriverà al Getsemani, guidando le guardie e i soldati per arrestare il maestro, sarà troppo tardi. Gesù è già morto e sepolto, nel segno efficace della sua libertà. Nell’economia dei segni significanti, l’unico mistero che seguirà il sacramento della cena o, similmente, quello della lavanda dei piedi, sarà la sua resurrezione. Il ciclo della cena non è dunque una preparazione alla passione morte ma ne è una tale anticipazione sacramentale, che ne porta a compimento l’intero suo ciclo.
Possiamo concludere questa riflessione con l’osservazione della signoria di Gesù sugli eventi della passione. Egli è il vero Signore, non è costretto ma si consegna liberamente, sta a testa alta davanti ai sommi sacerdoti e a Pilato, rifiuta la violenza, perdona i suoi uccisori.

Da dove deriva questa sua infinita superiorità sulle circostanze? La risposta è semplice: vive quella relazione con il Padre che lo sostiene nella sua decisione di donarsi totalmente per amore di ogni uomo e di ogni donna. E chi si dona interamente non ha più nulla da perdere perché ha già donato tutto.
È nata una nuova umanità, l’umanità risorta libera dalla paura di amare, libera dalla paura della morte.

Foto di Briam Cute da Pixabay