Società

Beffati dallo Stato: i docenti precari pagano e restano fuori

Riceviamo e pubblichiamo

La scuola italiana, ancora una volta, si conferma maestra nel mettere i bastoni tra le ruote a chi la sostiene giorno dopo giorno. Parliamo di migliaia di docenti precari che, dopo anni passati tra aule e banchi, hanno investito tempo, soldi e speranze in quei corsi di abilitazione che avrebbero dovuto dare loro stabilità. E invece? L’ennesimo schiaffo in faccia. Dopo aver aspettato mesi per l’attivazione di questi corsi, i nostri precari si sono ritrovati a fare i conti con università che hanno compresso programmi enormi in tempi ridicoli. Un vero tour de force: studio matto e disperatissimo, orari impossibili, vita personale azzerata. E tutto questo, ovviamente, a caro prezzo. Migliaia di euro spesi in tasse, viaggi, le cronache raccontano di persone che da Torino arrivano all’Unical ogni venerdì per seguire i corsi in presenza, pagano persino affitti in città lontane e dove hanno trovato posto per immatricolarsi ai corsi. Soldi tirati fuori con l’idea di un futuro più sereno, finalmente abilitati, finalmente “dentro”. L’esame finale? Una corsa contro il tempo assurda. Il culmine di questa assurdità lo si raggiunge ora: gli esami finali. Molti si trovano a dare la prova decisiva dopo il 30 giugno. Il 30 giugno, la data spartiacque per entrare, con il titolo in mano, nelle benedette prime fasce GPS, quelle che ti danno un po’ più di tranquillità nelle supplenze. È una corsa contro il tempo folle, un’ansia che si somma alla stanchezza di mesi di sacrifici. Come si può chiedere a un professionista di dare il meglio in queste condizioni? Sembra quasi una punizione per chi ha cercato di mettersi in regola. Le conseguenze di questa inerzia sono pesantissime. Chi dovesse ottenere l’abilitazione anche solo il cinque luglio, si ritroverà fuori dalla prima fascia. Questo significa meno possibilità di supplenze lunghe, meno stabilità, ancora più precarietà. Un danno economico, certo, ma soprattutto una ferita profonda alla dignità professionale e personale. Hanno studiato, hanno pagato, hanno corso, e ora rischiano di restare al palo per colpa di un’organizzazione che non li ha rispettati. Guardate in faccia queste persone, vedete i loro sacrifici. Una proroga non è un favore, ma un atto dovuto, l’unico modo per non vanificare anni di onorato servizio e un impegno economico e umano enorme. La scuola italiana ha bisogno di insegnanti valorizzati e sereni, non di professionisti trattati come numeri, umiliati e abbandonati alla loro sorte.

Salvatore Ciurleo, esperto di dinamiche scolastiche

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