di Pippo Gallelli
C’è una data, il 16 giugno 1986, che per molti non significa nulla. Ma per chi ha vissuto gli anni Ottanta con una sensibilità almeno un poco fuori dagli schemi, per chi ha attraversato l’adolescenza con in tasca un walkman e un cuore agitato, è il giorno in cui uscì The Queen Is Dead, il capolavoro assoluto degli Smiths.
Iconica la copertina che ritrae un Alain Delon poco riconoscibile, disteso a terra in un frame del film noir del 1964 L’Insoumis, simbolo perfetto del tema di ribellione dell’album, il cui titolo originario pensato da Morrissey era Margaret on the Guillotine — un chiaro riferimento voluto a Margaret Thatcher, poi fortunatamente scartato.
Un disco che non si limita a essere musica: è uno specchio, un rifugio, un urlo e una carezza. In poco più di 37 minuti, Morrissey e Johnny Marr confezionano un’opera che unisce il pop britannico alla malinconia più viscerale, il jangle rock ai sogni infranti di una generazione. È forse il punto più alto della parabola degli Smiths, ma anche uno degli album più profondi e influenti degli anni ’80.
Un inizio iconoclasta
Si parte con la title track, The Queen Is Dead (niente paura la Regina vivrà ancora per molto). Una cavalcata elettrica e feroce, con batteria martellante e riff ossessivi: il simbolo di una ribellione ironica e disillusa contro la monarchia, la società, il conformismo. Morrissey sputa versi come fossero aforismi, con la sua voce a metà tra supponenza e supplica. È una dichiarazione di intenti: niente sarà più come prima. All’inizio, per la cronaca, si sente una parte di Take Me Back to Dear Old Blighty, una canzone patriottica del 1916.
Tra ironia e disperazione
Poi altre perle. Frankly, Mr. Shankly è una lettera di dimissioni in forma di cabaret: dietro la melodia saltellante si nasconde un odio sottile per la mediocrità del mondo lavorativo e culturale. I Know It’s Over, invece, è la vetta emotiva dell’album. Una ballata lenta, straziante, dove Morrissey canta la solitudine come se fosse l’unica verità del mondo. “If you’re so funny, then why are you on your own tonight?” – e chi non se l’è chiesto almeno una volta in quegli anni…e anche dopo
L’amore che non osa…
Cemetry Gates è un piccolo gioiello di letteratura pop: passeggiate tra le tombe, citazioni di Oscar Wilde, plagi poetici e dispute sulla morte con Yeats e Keats come se fosse un gioco tra amici troppo intelligenti per il loro tempo. Con The Boy with the Thorn in His Side ( la preferita di chi scrive), torna il tema dell’amore impossibile, incompreso, represso. Marr crea arpeggi luminosi, quasi contraddicendo la malinconia del testo. Ma è proprio in questa tensione che gli Smiths diventano immortali: un’eterna contraddizione tra bellezza e dolore.
Ricordi di chi eravamo
Bigmouth Strikes Again è la vendetta ritmica dell’ironia: la chitarra taglia l’aria, mentre Morrissey si prende gioco di sé stesso e delle sue parole “troppo grandi”. È la colonna sonora ideale per chi si è sentito escluso, eppure incapace di tacere. There Is a Light That Never Goes Out – forse la canzone più amata e ancora oggi imperversante sui social – è una poesia disperata sul desiderio di annullarsi per sentirsi finalmente vivi. “To die by your side is such a heavenly way to die”. È la canzone che ogni ragazzo degli anni ’80 ha dedicato in silenzio al suo amore impossibile.
Un disco, mille vite, una luce che non si spegne
The Queen Is Dead non è solo un album. È un diario, una sceneggiatura, una fotografia seppiata che ancora oggi parla a chi si sente fuori posto. È legato ai ricordi personali: le notti insonni, le corse sotto la pioggia, i pomeriggi in camera a fissare il soffitto con le cuffie nelle orecchie e il cuore gonfio.
Era un’epoca in cui le inquietudini non si buttavano via con uno scroll. Le si viveva tutte. E gli Smiths le sapevano cantare come nessun altro.
A quasi quarant’anni di distanza, The Queen Is Dead continua a parlare con voce lucida e poetica. Perché in fondo, come ci ricordano loro stessi, “There is a light that never goes out”. Ed è quella che brilla nei cuori inquieti di ogni generazione, ogni volta che qualcuno sente il bisogno di appartenere a qualcosa che vada oltre la banalità del quotidiano.
Per ascoltare l’album :
