Un’Italia che si chiude, che dimentica la propria storia e spezza il legame con milioni di cittadini nati all’estero. È questa la denuncia emersa con forza dal convegno “Cittadinanza italiana iure sanguinis tra diritto costituzionale, diritto euro-unitario ed interventi legislativi”, promosso dall’associazione Natitaliani, che ha visto la partecipazione di politici, costituzionalisti e giuristi di primo piano.
Al centro del dibattito, la durissima critica alla Legge 74/2025, che ha convertito il controverso Decreto Legge 36/2025, intervenendo pesantemente sul diritto di cittadinanza per discendenza. Una normativa definita da molti “una frattura storica e giuridica”, che limita il riconoscimento della cittadinanza fino alla seconda generazione e introduce effetti retroattivi, scatenando un’ondata di indignazione e preoccupazione.
La denuncia della politica: “Due categorie di italiani”
Ha aperto i lavori l’on. Stefano Vaccari, segretario della Presidenza della Camera, che non ha nascosto il proprio dissenso. “Così si colpisce l’Italia globale,” ha dichiarato, evidenziando il danno a milioni di italo-discendenti e alle relazioni internazionali costruite anche grazie alle comunità italiane all’estero.
Sulla stessa linea l’on. Fabio Porta, che ha parlato di “visione di italianità chiusa e sovranista” e ha accusato il Governo di creare italiani di serie A e serie B. “Si vanificano anni di diplomazia culturale – ha aggiunto – mentre il MAE celebrava il turismo delle radici, oggi si alzano muri.”
Christian Di Sanzo, deputato eletto all’estero, ha sottolineato la gravità di modificare una legge fondamentale con uno strumento d’urgenza, definendolo un attacco al patto storico con la diaspora.
I giuristi: “Norma retroattiva, punitiva, incostituzionale”
Il giurista Marco Mellone, promotore del convegno, ha ricordato che lo ius sanguinis è parte integrante dell’identità italiana fin dalla nascita dello Stato. “Cambiarlo oggi – ha detto – significa negare la storia e ferire milioni di persone.” Ha anche anticipato il pronunciamento della Corte Costituzionale atteso per il 24 giugno, dopo la segnalazione del Tribunale di Bologna.
Il prof. Alessandro Brutti, costituzionalista, ha denunciato le “molteplici criticità” della norma: retroattività, assenza di clausole di salvaguardia, violazione del legittimo affidamento, uso distorto della decretazione d’urgenza. “È una legge che punisce e disconosce,” ha detto, “che rende la cittadinanza una concessione e non più un diritto.”
Durissimo anche il prof. Giovanni Bonato, che ha evocato “una diseredazione giuridica di massa” e ha paragonato la norma a pratiche illiberali di regimi autoritari. “Il principio della doppia cittadinanza viene svuotato, in particolare per le comunità dell’America Latina,” ha denunciato.
“Una legge contro l’identità italiana”
Interventi di alto profilo hanno completato il quadro: la prof.ssa Roberta Calvano ha denunciato l’illegittimità della retroattività e la violazione dei diritti acquisiti. Il prof. Alfonso Celotto ha criticato la “visione misoneista” del legislatore, che “nega anziché includere”. Il prof. Nicola Carducci ha ricordato che la Costituzione tutela i lavoratori italiani all’estero, mentre la legge li trasforma in stranieri. Infine, il prof. Giacomo De Federico ha sollevato gravi dubbi di compatibilità della legge con il diritto europeo, soprattutto in relazione al principio di proporzionalità nella revoca della cittadinanza.
“Una battaglia culturale prima che giuridica”
Numerose le domande del pubblico, segno di un tema vivo e sentito, che tocca l’identità stessa della nazione. Le conclusioni della moderatrice Claudia Antonini, vicepresidente di Natitaliani, sono state chiare: “Questa è una legge della vergogna. La battaglia è appena iniziata e sarà politica, culturale e giuridica. Difendiamo un’idea di Italia aperta, inclusiva e fedele alla sua vocazione universale.”