Il “Super Sunday” elettorale ha lasciato un messaggio chiaro: l’ultradestra cresce, ma incontra ancora argini forti nel cuore delle democrazie europee. Le tornate elettorali in Romania, Polonia e Portogallo raccontano storie diverse ma intrecciate da un filo comune: l’instabilità politica e il peso crescente delle pulsioni sovraniste, che però non riescono, per ora, a trasformarsi in egemonia.
Romania: il colpo simbolico all’estrema destra
In Romania, la vittoria dell’europeista Nicușor Dan su George Simion (leader dell’ultradestra di AUR) rappresenta un colpo netto alle ambizioni sovraniste. Dopo il primo turno, che aveva visto Simion in netto vantaggio, l’affermazione al ballottaggio del sindaco di Bucarest ha ribaltato ogni pronostico. Dan ha raccolto il 54,3% dei consensi contro il 45,6% di Simion, sostenuto da una coalizione trasversale di centrodestra liberale e progressisti filo-europei. La mobilitazione dell’elettorato europeista – sia in patria che nella diaspora – e l’allarme per le interferenze russe hanno giocato un ruolo decisivo. “Il Paese vuole dialogo, non odio”, ha dichiarato Dan. Una Romania che sembrava sul punto di virare a Est ha riaffermato la sua vocazione europea.
Polonia: equilibrio precario tra due visioni opposte
In Polonia, il primo turno delle presidenziali ha confermato la profonda spaccatura del Paese. Il sindaco di Varsavia Rafal Trzaskowski, filo-Ue, ha ottenuto il 30,8%, seguito dal conservatore Karol Nawrocki (PiS) al 29,1%. Nessuno dei due ha raggiunto la soglia per la vittoria al primo turno, e l’estrema destra, pur restando fuori dalla corsa finale, potrebbe essere l’ago della bilancia nel ballottaggio. Sarà decisivo capire dove si orienterà il suo elettorato, in un Paese già segnato da forti tensioni fra Bruxelles e il governo polacco negli ultimi anni.
Portogallo: il centrodestra vince, ma Chega avanza
Anche in Portogallo si è votato, e l’esito restituisce un panorama incerto. L’Alleanza Democratica di centrodestra guidata da Luís Montenegro ha ottenuto il 32,7% dei voti e 89 seggi, ma resta lontana dalla maggioranza assoluta. L’estrema destra di Chega, guidata da André Ventura, ha ottenuto il 22,6%, un risultato storico: 58 seggi, a pari merito con il Partito Socialista, che ha subito una sconfitta netta. Il leader socialista Pedro Nuno Santos ha rassegnato le dimissioni, ammettendo il momento difficile per la sinistra. Resta ora da vedere se Montenegro manterrà la promessa di non allearsi con Chega, complicando ulteriormente la formazione di un governo stabile.
Uno sguardo d’insieme: resistenza democratica, ma equilibrio fragile
Queste elezioni mostrano un’Europa in bilico: l’estrema destra avanza, ma ancora non sfonda. L’elettorato resta attratto da parole d’ordine sovraniste e populiste, ma nei momenti cruciali sembra preferire la stabilità e la continuità democratica. La Romania, in particolare, si afferma come simbolo di resistenza al contagio sovranista: il ballottaggio di Bucarest, che ha visto migliaia di cittadini sventolare bandiere dell’UE nelle piazze, potrebbe diventare un punto di svolta nella narrazione politica continentale.
Su tutto, però, si staglia l’ombra lunga di Mosca: l’influenza russa continua ad agire sottotraccia, alimentando le destre radicali con un flusso costante di fake news, propaganda e disinformazione, soprattutto attraverso i social network. L’obiettivo è orientare l’opinione pubblica, polarizzare il dibattito e indebolire il fronte europeista. Una minaccia ibrida, difficile da contrastare, ma sempre più evidente nelle dinamiche elettorali del continente.
Accanto a Mosca, anche alcuni attori transatlantici giocano un ruolo ambiguo. Negli Stati Uniti, Donald Trump non ha mai nascosto le sue simpatie per i leader sovranisti europei, mentre Elon Musk – attraverso la gestione della piattaforma X (ex Twitter) – ha spesso amplificato narrazioni care all’ultradestra e ostili alle istituzioni europee. Il sostegno, diretto o indiretto, da parte di queste figure contribuisce a legittimare e rafforzare movimenti che mettono in discussione i valori fondanti dell’Unione Europea.
Il futuro resta incerto. Le destre radicali potrebbero trovare nuova linfa moderando il linguaggio e adattando le strategie. La loro crescita è tutt’altro che finita: sta ora ai partiti democratici europei evitare che il prossimo “Super Sunday” diventi la loro consacrazione definitiva.