José “Pepe” Mujica si è spento ieri a Montevideo all’età di 89 anni. Con lui scompare una delle figure più autentiche e rivoluzionarie della politica mondiale. Un uomo che non ha mai smesso di lottare, non per il potere, ma per la dignità dei più deboli. Un presidente che ha incarnato la possibilità concreta di una politica etica, umana, radicalmente diversa.
Una vita controcorrente
Ex guerrigliero tupamaro, Mujica ha pagato con 13 anni di carcere – molti dei quali in isolamento – la sua lotta contro la dittatura uruguaiana. Ma da quella prigione non è uscito un uomo rancoroso: è uscito un uomo libero, più forte, più giusto. La sua storia personale è già un romanzo: da militante armato a capo di Stato, senza mai tradire i propri ideali. Eletto presidente dell’Uruguay nel 2010, ha governato il Paese con uno stile inconfondibile: diretto, sobrio, coraggioso. Nessun lusso, nessun privilegio. Continuava a vivere nella sua piccola casa di campagna con la moglie Lucía Topolansky, tra galline e orti, guidando la sua vecchia Volkswagen Maggiolino del 1987. Donava il 90% dello stipendio presidenziale in beneficenza. Perché, diceva, “non sono povero. Poveri sono quelli che hanno bisogno di tanto per vivere”.
Il potere come servizio, non come privilegio
Durante il suo mandato, Mujica ha portato avanti riforme sociali che hanno reso l’Uruguay un laboratorio di progresso civile: la legalizzazione della marijuana, il matrimonio egualitario, la depenalizzazione dell’aborto. Decisioni coraggiose, sempre spiegate con parole semplici, comprensibili, umane. Perché Mujica non parlava da politico, parlava da uomo. “La felicità non è accumulare cose, ma avere il tempo per godersi la vita”, diceva. Non era solo una frase, era un programma politico. Mujica ha ricordato a un mondo ipnotizzato dal consumismo che la libertà vera è scegliere come vivere il proprio tempo. Che il denaro non può comprare la coscienza. E che la politica, se non serve a migliorare la vita degli ultimi, è solo un gioco di specchi.
L’ultima battaglia, il saluto di un guerriero
Negli ultimi mesi, Mujica aveva reso pubblica la sua malattia, un tumore all’esofago. Con la stessa dignità con cui aveva vissuto, ha affrontato la morte. Poco tempo fa, in un discorso struggente, ha detto:
“Guerriero sono e continuerò a lottare, senza tregua, mai sconfitto. La vita è sempre avvenire. La vita mi perseguita pur se sto morendo.”
Con queste parole ha salutato il suo popolo, il suo mondo, lasciandoci il testamento morale di chi ha saputo vivere – e morire – con coerenza.
Un’eredità che non muore
Oggi il mondo piange un leader diverso. Non uno statista da copertina, ma un uomo che ha insegnato il valore della semplicità, della coerenza, della compassione. Mujica non lascia monumenti di pietra, ma un’eredità di pensiero e di esempio. Ci ha mostrato che si può fare politica senza arroganza, governare senza arricchirsi, servire senza comandare. José Mujica ha vissuto come pochi hanno il coraggio di fare: libero. E proprio per questo, resterà una figura simbolo, chi crede ancora che un mondo più giusto sia possibile.
Fonte foto: Wikimedia Commons