di Pippo Gallelli
Napoli, crocevia di culture e tradizioni, è finita al centro di un acceso dibattito dopo un episodio avvenuto alla Taverna di Santa Chiara, un piccolo ristorante noto per il suo impegno a favore della campagna contro l’apartheid israeliano.
Secondo quanto riportato dall’ANSA, due turisti israeliani, dopo aver pranzato nel locale, hanno iniziato una conversazione con altri clienti, elogiando la bellezza e la sicurezza del proprio Paese. Il confronto si è presto ampliato, coinvolgendo anche la titolare del ristorante, Nives Monda, che ha espresso critiche dure nei confronti del governo israeliano e della crisi umanitaria in corso a Gaza.
Quel che sembrava un semplice scambio di opinioni si è rapidamente trasformato in un alterco acceso. Una delle turiste, Gilli Moses, ha iniziato a riprendere la scena con il cellulare, accusando la ristoratrice di antisemitismo e di sostegno al terrorismo. Nel video, divenuto virale, si sente Monda rispondere con fermezza: “You can go ahead, I don’t want your money” (“Potete andare, non voglio i vostri soldi”).
La pubblicazione del filmato ha innescato una tempesta sui social. C’è chi ha condannato l’atteggiamento della ristoratrice, parlando di discriminazione nei confronti dei turisti israeliani, e chi, invece, ha preso le sue difese, rivendicando il diritto di esprimere opinioni politiche anche contro lo Stato di Israele. Monda ha denunciato di essere vittima di una campagna d’odio: ha ricevuto minacce anonime, intimidazioni e messaggi in cui si prospettano aggressioni fisiche e la distruzione del locale.
L’episodio ha avuto anche risvolti politici. Esponenti di Fratelli d’Italia e della Lega hanno chiesto provvedimenti contro la Taverna di Santa Chiara, mentre il Partito della Rifondazione Comunista ha espresso solidarietà alla ristoratrice. Il senatore Ivan Scalfarotto ha parlato di “ingiustificabile discriminazione”, mentre la giornalista Selvaggia Lucarelli ha preso le difese di Monda, sostenendo che le sue parole erano una critica rivolta al governo israeliano, non agli israeliani in quanto popolo.
La vicenda ha polarizzato l’opinione pubblica, mettendo in luce le tensioni irrisolte legate al conflitto israelo-palestinese e il difficile equilibrio tra libertà d’espressione e accuse di discriminazione. Da una parte c’è chi denuncia un clima ostile nei confronti degli israeliani, dall’altra chi difende il diritto di criticare le politiche di un governo senza per questo essere tacciato di antisemitismo.
Ma questo episodio va oltre il confronto tra ideologie contrapposte. È una fotografia del potere delle immagini e della velocità con cui una narrazione può infiammare il dibattito pubblico. In poche ore, un video di pochi secondi ha trasformato un confronto verbale in un caso mediatico, con conseguenze reali per chi vi è coinvolto.
La denuncia presentata dalla titolare non è solo un gesto di autodifesa, ma una reazione a una dinamica sempre più diffusa: il rischio che eventi documentati solo in parte vengano interpretati fuori contesto e utilizzati come strumenti in battaglie ideologiche combattute a colpi di click e commenti.
Intanto, mentre a Napoli si discute di un episodio locale, sullo sfondo resta la tragedia di Gaza, che continua a mietere vittime e a suscitare reazioni in tutto il mondo. Anche in luoghi lontani dal conflitto, come Napoli, le tensioni internazionali trovano nuovi terreni di scontro e confronto.
Alla fine, questa storia pone una domanda urgente: in un’epoca dominata dai social e dalle narrazioni polarizzate, è ancora possibile discutere senza che ogni dissenso si trasformi in uno scontro ideologico inconciliabile?
Nella foto un fotogramma del video che documenta la vicenda diffuso sui social