di Pippo Gallelli
Ci accorgiamo solo ora, con una lucidità forse inedita, di quanto Papa Francesco abbia significato per un’umanità spesso disorientata, inaridita da anni di cinismo, odio e indifferenza. La sua voce, limpida e instancabile, ha saputo incarnare una speranza concreta: quella di una Chiesa capace di farsi prossima agli ultimi, di abbattere muri, di dialogare con chiunque fosse disposto ad ascoltare, anche oltre i confini della fede.
In un tempo segnato da polarizzazioni feroci, guerre dimenticate e nuove povertà, Francesco ha rappresentato un faro. Non perfetto, certo, ma autentico. E ora che il suo pontificato è giunto al termine, il mondo osserva con apprensione e speranza il momento cruciale del passaggio: l’elezione del nuovo Pontefice.
L’attesa che accompagna il Conclave non è mai solo religiosa. È anche, e forse soprattutto, simbolica. Perché chi salirà al soglio di Pietro non erediterà soltanto un ruolo spirituale, ma una missione che tocca le corde profonde dell’umanità. In un’epoca segnata dall’incertezza globale, la figura del Papa continua a rappresentare una delle poche autorità morali capaci di parlare al mondo intero, al di là delle appartenenze religiose.
È quindi legittimo — e necessario — augurarsi che il prossimo Papa non sia frutto di un compromesso curiale, ma l’espressione genuina di una Chiesa fedele al Vangelo degli ultimi, capace di raccogliere e rilanciare l’eredità di Francesco: una Chiesa povera per i poveri, impegnata nel dialogo tra le religioni, custode del creato, voce scomoda davanti alle ingiustizie.
Mentre i cardinali si chiudono nella Cappella Sistina, custoditi dal silenzio solenne della tradizione, il mondo trattiene il fiato. Le mura antiche di quel luogo sacro accolgono le preghiere di milioni di fedeli e le aspettative di chi, anche da lontano, guarda alla Chiesa come a un punto di riferimento etico e umano. Il Conclave conserva intatto il suo fascino arcaico, quel mistero che unisce liturgia e decisione, spiritualità e responsabilità storica.
E poi, come un sussulto nella quiete, il segnale che tutti attendono: il comignolo comincia a fumare. Il colore è chiaro, è bianco. Un boato si leva dalla folla radunata in Piazza San Pietro. Le campane risuonano a festa, i volti si illuminano, le lacrime si mescolano ai sorrisi. È il momento del “Habemus Papam!”, l’annuncio che squarcia l’attesa e ridona voce alla speranza.
Presto una nuova figura si affaccerà al balcone della Basilica vaticana, un volto ancora ignoto ma già carico di attese. Sarà lui — o lei, dirà qualcuno con spirito provocatorio ma ancora utopico — a raccogliere il testimone e a incarnare, si spera, quella stessa tensione evangelica che ha animato Papa Francesco.
In un mondo in cui tutto sembra diventare spettacolo, perfino le cose sacre — con immagini di falsi papi che affollano i social, tra travestimenti e selfie irriverenti — vale la pena ricordare che per milioni di persone l’elezione di un nuovo Pontefice è tutt’altro che una curiosità folkloristica. È un momento sacro, un atto che tocca l’anima, che apre spiragli di luce in tempi bui.
Forse siamo davvero sull’orlo di un nuovo inizio. Forse questa attesa non è solo religiosa, ma profondamente umana. Forse — ancora una volta — ci ritroveremo a sperare, insieme, in un mondo in cui la fede nella fratellanza, nella giustizia, nella pace non sia solo un’utopia, ma un progetto possibile.
Foto di Kai Pilger da www.pexels.com
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