Mondo

Papa Francesco lascia un sogno di pace, ma Gaza resta nell’ombra

di Pippo Gallelli

Nel giorno dell’ultimo saluto a Papa Francesco, il mondo si è raccolto in Piazza San Pietro per rendere omaggio a una figura che, fino all’ultimo respiro, ha cercato di costruire ponti di pace tra popoli divisi.
Eppure, mentre l’incenso saliva al cielo e gli inni sacri avvolgevano la Basilica, a margine del rito solenne in onore del compianto Pontefice, è stata la diplomazia – o quantomeno il tentativo di essa – a prendersi la scena, complice l’irripetibile presenza dei grandi attori internazionali.

Rimarrà negli occhi di tutti, e nella storia, lo scatto che ritrae il presidente americano Donald Trump faccia a faccia con il leader ucraino Volodymyr Zelensky: un’immagine potente, simbolo di una possibile tregua in un mondo devastato dalla guerra.

Gli incontri bilaterali tra capi di Stato, in particolare quelli legati alla questione ucraina, hanno acceso una flebile scintilla di speranza in un panorama dominato dall’oscurità e dalla paura. Un barlume, certo, ma pur sempre una possibilità che Francesco avrebbe benedetto con tutto sé stesso. Tuttavia, mentre si discuteva di corridoi umanitari e mediazioni future, una grande, pesante assenza aleggiava su Piazza San Pietro: Gaza.

Nessuno, o quasi, ha parlato del massacro quotidiano che continua a consumarsi nella Striscia. Nessuna bandiera palestinese tra le delegazioni, nessuna voce ufficiale a dare rappresentanza a chi da mesi subisce il martirio nell’indifferenza generale. Benjamin Netanyahu era assente, inseguito da un mandato internazionale, coerente con il gelo già manifestato di fronte alla morte di Francesco, che tante volte aveva levato la sua voce contro le ingiustizie patite dal popolo palestinese. Nessuno, tra i potenti della Terra presenti, ha attivato vie diplomatiche – ufficiali o sotterranee – per tentare almeno un gesto concreto verso Gaza.

Eppure, è notizia di queste ore che Hamas avrebbe proposto il rilascio di tutti gli ostaggi in cambio di una tregua di cinque anni. Una proposta che, in un altro contesto, avrebbe potuto scuotere coscienze e tavoli negoziali. Invece, è passata quasi inosservata.

Gaza era nel cuore di Francesco. Vi era entrata non per ideologia, ma per compassione, per quella sete di giustizia che gli ardeva dentro.
Ora il rischio è che, con la sua voce spenta, Gaza venga ancora più dimenticata, e che l’orrore sia definitivamente normalizzato, archiviato con una distratta alzata di spalle.

Onorare davvero Papa Francesco significherebbe raccogliere il testimone della sua battaglia per la pace, moltiplicare gli sforzi affinché miracoli possano accadere davvero: in Ucraina, a Gaza, in Sudan, ovunque la guerra e l’odio continuano a dilaniare l’umanità.

Francesco ci ha indicato una strada stretta, difficile, impopolare.
Ora che il suo sguardo non può più incrociare il nostro, tocca a noi decidere se camminare davvero dietro di lui o abbandonarlo nell’oblio di un dolore troppo scomodo da ricordare.

Altrimenti quella di ieri sarà stata solo una sfilata vuota e ipocrita, seppure ammantata da un dolore autentico.
E allora il rischio è che il funerale di Papa Francesco si trasformi in una grande occasione perduta, in una promessa tradita.

L’auspicio, oggi più che mai, è che il suo successore sappia proseguire il cammino di pace da lui tracciato. Senza se e senza ma.
Perché altrimenti, dell’eredità di Francesco, resteranno soltanto le lacrime. Non il coraggio.

Foto di hosny salah da Pixabay