di Pippo Gallelli
Un mandato d’arresto internazionale, un fermo in Italia, una scarcerazione per “errore procedurale” e un ritorno trionfale in Libia. È il groviglio di eventi che ruota attorno al generale Njeem Osama Almasri Habish, capo dell’Ufficio della Polizia Giudiziaria libica, accusato dalla Corte Penale Internazionale (CPI) di crimini di guerra e contro l’umanità.
Sabato scorso, il comandante Almasri era stato individuato a Torino, dove si trovava per assistere alla partita Juventus-Milan. Arrestato dalla DIGOS su richiesta della CPI, il generale è stato detenuto per tre giorni nel carcere delle Vallette. La Corte d’Appello di Roma ha però annullato l’arresto, definendolo “irrituale” per mancanza di preventiva interlocuzione tra il Ministero della Giustizia e la stessa Corte. Il generale è stato rimpatriato con un volo di Stato, accolto a Tripoli da una folla festante che lo ha celebrato come un eroe.
Le accuse e il mandato della CPI
Il mandato d’arresto contro Almasri era stato emesso lo scorso 2 ottobre dalla CPI per presunti crimini commessi nella famigerata prigione di Mitiga, gestita dall’Apparato di deterrenza libico. Secondo Amnesty International, questa struttura è teatro di “terribili violazioni dei diritti umani” perpetrate con totale impunità. La CPI ha accusato l’Italia di non aver collaborato, come richiesto dallo Statuto di Roma, e di aver liberato l’indagato “senza preavviso o consultazione”. Un portavoce della Corte ha dichiarato: “Ci sono ragionevoli motivi per ritenere che Almasri sia responsabile di crimini che ricadono nella nostra giurisdizione. La sua scarcerazione è un grave colpo alla giustizia internazionale”.
Insorgono le opposizioni
In Italia, la vicenda ha scatenato una bufera politica. Le opposizioni accusano il governo Meloni di aver agevolato la liberazione di Almasri per ragioni di opportunità politica. “Non si tratta di un errore, ma di una decisione consapevole”, ha dichiarato la vicepresidente del Movimento 5 Stelle, Chiara Appendino. “È gravissimo che un uomo accusato di crimini contro l’umanità sia stato rimandato a casa con tutti gli onori, addirittura su un volo di Stato”.
Anche Elly Schlein, segretaria del PD, ha definito l’episodio “una vergogna per il nostro Paese”. Durante una riunione con i leader di Alleanza Verdi e Sinistra, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, ha chiesto un’informativa urgente da parte della premier Giorgia Meloni e del ministro della Giustizia Carlo Nordio.
“Il governo ha violato un mandato internazionale, collaborando di fatto con un torturatore”, ha attaccato Marco Grimaldi di Avs. “Se si è trattato di un errore, è di una gravità inaudita; se è stata una scelta politica, è ancora peggio”.
La difesa del governo
Il ministro della Giustizia Nordio ha attribuito la scarcerazione a un errore procedurale, precisando che la Corte d’Appello di Roma ha giudicato irrituale l’arresto per mancata comunicazione preventiva. Da parte sua, il ministro della Difesa Guido Crosetto ha preferito non entrare nel merito: “Io conosco la difesa, mi limito alla difesa”.
Tuttavia, l’episodio getta un’ombra sui rapporti tra Italia e Libia, già delicati per le questioni legate ai flussi migratori e agli accordi economici. Il rimpatrio di Almasri, avvenuto con un volo della Aeronautica Militare, ha sollevato ulteriori dubbi sulla trasparenza del governo.
Un precedente pericoloso
Non è la prima volta che l’Italia si trova al centro di polemiche per casi simili. Poco più di un mese fa, un episodio analogo aveva coinvolto l’iraniano Mohammed Abedini Najafabadi, anch’egli arrestato e poi liberato per irregolarità procedurali.
La CPI e le opposizioni chiedono ora che il governo fornisca chiarimenti dettagliati. Nel frattempo, il caso Almasri rischia di diventare un simbolo della complessità – e delle contraddizioni – della giustizia internazionale, intrecciata con le dinamiche politiche e diplomatiche.
Lo strano caso del generale Almasri, il torturatore libico scarcerato dall’Italia
